Contro Elena Ferrante (o chi per lei)
Sulla Stampa Paolo Di Paolo commenta il successo americano della scrittrice (o scrittore?) e critica l'insistenza sullo pseudonimo misterioso
Lo scrittore Paolo Di Paolo commenta oggi sulla Stampa il successo negli Stati Uniti dei libri di Elena Ferrante, scrittrice “che non esiste”, come spiega criticamente lo stesso Di Paolo: «La forza di Ferrante è, più che nei suoi libri, nel suo non esserci, la sua distanza abissale da tutto: nessuno l’ha mai vista, nessuno l’ha mai intervistata di persona, nessuno l’ha mai incrociata per caso, come perfino al vecchio eremita Salinger era accaduto al supermercato. Non se ne ha nemmeno una foto giovanile, come dell’altro grande solitario Thomas Pynchon».
C’è sempre qualcosa di misterioso nella fortuna critica di un autore all’estero. Gli ostacoli sono tanti: la complessità stilistica, la traducibilità di un immaginario, di un orizzonte storico e culturale. A Elena Ferrante, la misteriosa autrice di L’amore molesto, è accaduto il miracolo che accade a pochissimi autori italiani: essere scoperta e celebrata in America.
Sul mercato anglofono siamo di solito debolissimi, e semmai ci pensano gli americani stessi a spargere – quando serve – un po’ di italianità caricaturale sui loro romanzi (è il caso di Mangia prega ama di Elizabeth Gilbert, per esempio, o del Dan Brown in salsa vaticana). A entrare nel dibattito culturale sono riusciti forse solo Calvino e Umberto Eco (l’ultimo romanzo di Jeffrey Eugenides, La trama del matrimonio, chiama in causa il nostro professore già nelle prime pagine); se la sono cavata la Fallaci, Calasso, e più di recente Severgnini, Baricco e Saviano. Il nobile lavoro di Jonathan Galassi su Montale e poi su Leopardi fa eccezione.
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