La storia di una cosa non fatta a Genova
Marco Imarisio racconta l'esempio concretissimo di uno scolmatore perso nelle beghe politico-giudiziarie
In un articolo sul Corriere, Marco Imarisio – che ieri aveva raccontato la storia di un genovese la cui famiglia morì nell’alluvione del 2011 – ricostruisce oggi una lunga storia di impedimenti e vicende politiche e giudiziarie che a partire dalle fine degli anni Ottanta hanno ostacolato a Genova i lavori di costruzione di un canale di scolmatura per il torrente Fereggiano, la cui frequente esondazione è spesso tra le principali cause di alluvioni ricorrenti.
La galleria che doveva salvare la città è diventata il magazzino delle canoe. Alle spalle del bagno Squash, nascosto alla vista dei turisti da una fila di cabine azzurre, c’è un reperto di archeologia urbana che ben rappresenta il fallimento ventennale di qualunque prevenzione idrogeologica genovese.
Alla fine degli anni Ottanta l’apertura del cantiere sul mare che doveva costruire lo scolmatore del rio Fereggiano era stato benedetto anche dal vescovo, tanta era l’aspettativa per l’opera salvifica che avrebbe dovuto finalmente liberare tutti dalle insidie di quel micidiale torrente, che nel 2011 si sarebbe portato via sei vite umane e anche la scorsa notte ha fatto la sua parte nel coprire di fango interi quartieri. Il prezzo era anche modico, cinquanta miliardi dell’epoca. Oggi è una distesa di sterpaglie e fango dove non si avventura nessuno, con i primi dieci metri utilizzati come ripostiglio delle barche dei bagnanti. Qualcuno dice che ci hanno dimenticato dentro una ruspa, tanta era la fretta di chiuderlo. Il primo chilometro era quasi finito. Ne mancavano altri sei. Ma nel 1991, agli albori di Tangentopoli, finiscono in manette due assessori socialisti della giunta a forma di pentapartito guidata da Cesare Campart. L’accusa è di corruzione per l’appalto dello scolmatore. Verranno assolti entrambi, nel 2001.
Il cantiere intanto si ferma. Con l’aria che tira in quegli anni, nessuno ha voglia di andarsi a cercare rogne. La chiusura ufficiale viene decretata dal commissario prefettizio Vittorio Stelo. Al suo successore, il sindaco Adriano Sansa, tocca l’ingrato compito di dare l’avvio alla liquidazione. Comincia un salasso per le casse del Comune andato avanti fino a oggi. Nove miliardi di vecchie lire, circa 4,5 milioni di euro, intascati dalle ditte vincitrici dell’appalto, pagate per non eseguire i lavori. L’ultima rata è è dell’ 11 giugno 2013, 624mila euro versati alla Astaldi.
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