Nove anni di Evo Morales
Ovvero dell'esuberante presidente boliviano che quasi certamente sarà riconfermato per la terza volta alle elezioni di oggi (ha 40 punti percentuali di vantaggio, dicono i sondaggi)
Domenica 12 ottobre in Bolivia si vota per le elezioni presidenziali. Secondo i sondaggi, il presidente uscente Evo Morales dovrebbe ottenere circa il 58 per cento dei voti, con un vantaggio di più di 40 punti percentuali sul suo avversario più vicino, il conservatore Samuel Doria Medina. Se i sondaggi dovessero essere confermati, Morales otterrà il suo terzo mandato consecutivo. È diventato presidente per la prima volta nel 2006: negli ultimi nove anni la Bolivia ha visto triplicare il suo PIL e diminuire di quasi un terzo la povertà su tutto il territorio nazionale.
Parte del successo di Morales ha poco a che fare con i risultati economici. Nato in una famiglia povera nel 1959, Morales è di origine indigena, come i circa due terzi degli abitanti della Bolivia. Non si è mai laureato e ha lavorato a lungo come raccoglitore di coca (in Bolivia è legale coltivare la coca per scopi terapeutici e religiosi): poi negli anni è diventato il leader del sindacato dei raccoglitori di coca, una posizione che si è rivelata molto importante per la sua successiva entrata in politica. Le sue posizioni sono socialiste e di sinistra e nei suoi discorsi attacca spesso gli Stati Uniti, la globalizzazione e le grandi società multinazionali.
Su temi come la politica economica e le relazioni estere, Morales ha posizioni simili ad altri due leader sudamericani spesso definiti populisti e anti-capitalisti: il presidente dell’Ecuador Rafael Correa e l’ex presidente del Venezuela Hugo Chavez, morto nel 2013 e sostituito dal suo vice-presidente Nicolas Maduro. Il settimanale britannico Economist, che si occupa spesso di fare “bilanci” sull’operato di governi e capi di stato, è stato sempre molto critico e severo nei confronti di questi leader, ma ha anche tracciato una linea molto chiara tra Morales da una parte e Correa e Chavez-Maduro dall’altra. Per esempio, è vero che Morales ha triplicato la spesa pubblica, scrive l’Economist, ma è anche vero che nello stesso periodo il PIL del paese è cresciuto di pari passo. Inoltre la spesa pubblica per una buona parte è andata a finanziare programmi sociali e sussidi alla parte più povera della popolazione.
Le politiche sociali di Morales hanno portato a risultati significativi: nel 2006 i poveri erano il 60 per cento della popolazione, nel 2011 sono scesi al 45 per cento. Il reddito medio delle famiglie più povere ha mostrato significativi miglioramenti e le diseguaglianze nel paese sono diminuite. Gli sforzi per migliorare il sistema educativo hanno portato l’UNESCO a dichiarare nel 2008 che la Bolivia si era liberata dall’analfabetismo. Infine Morales ha anche compiuto un grande rinnovamento di La Paz, dove è stato costruito un sistema di cabinovie per rendere più semplici gli spostamenti (la città si trova in mezzo alle montagne a 3.600 metri di altezza).
Secondo molti analisti e secondo l’opposizione politica boliviana, tutti i risultati raggiunti da Morales vanno presi nel loro giusto contesto. Da diversi anni è in corso un vero e proprio boom dei prezzi delle materie prime esportate dalla Bolivia (petrolio e semi di soia legalmente; foglie di coca e cocaina illegalmente) e buona parte della crescita economica del paese sembra dipendere proprio da questo. Un’improvvisa contrazione del mercato delle materie di prime rischierebbe però di togliere le risorse per le riforme e i sussidi ai più poveri sponsorizzati dal governo.
Morales ha sempre usato una retorica molto critica nei confronti della globalizzazione, anche se in realtà nel corso della sua presidenza ha cercato di attirare nel paese diverse grande compagnie petrolifere internazionali. In Bolivia il petrolio non è stato nazionalizzato come in Venezuela: una buona parte dei ricavi dell’estrazione finisce comunque nelle casse del governo, ma le condizioni concesse sono sufficientemente buone da aver attirato gli investimenti delle grandi società. Diversi politici dell’opposizione hanno accusato Morales di criticare il capitalismo e gli Stati Uniti nei suoi discorsi pubblici, ma di aver un atteggiamento completamente diverso quando ci sono affari ed investimenti da discutere.
In teoria in Bolivia ci dovrebbe essere un limite di due mandati presidenziali, ma Morales è riuscito a non far conteggiare il suo primo mandato grazie a una riforma costituzionale fatta approvare nel 2009. Non si tratta dell’unica critica fatta a Morales: i suoi avversari, per esempio, denunciano di non avere spazio sufficiente sulle televisioni pubbliche che riservano un trattamento piuttosto generoso nei confronti del presidente. Inoltre lo accusano di non aver mai accettato un confronto televisivo (un comportamento in realtà abbastanza normale per un candidato che gode di un vantaggio così ampio e che quindi ha soltanto da perdere nella partecipazione a un dibattito). L’opposizione accusa inoltre Morales di aver perseguito per fini politici i suoi rivali, tra cui alcuni ex-presidenti del paese che ora si trovano sotto processo.
Secondo alcuni, la vittoria di un terzo mandato potrebbe spingere Morales sulla strada di un maggior populismo in stile venezuelano. Per l’Economist invece le cose rimarranno simili a come sono ora. I principali mercati di esportazione del paese, Brasile e Argentina, stanno già cominciando a diminuire gli ordini: per mantenere l’economia stabile Morales avrà quindi bisogno dei soldi che procurano al governo boliviano le grandi compagnie petrolifere che operano nel paese. Nazionalizzare il petrolio o compiere altre politiche spettacolari e poco ortodosse avrebbe l’effetto di spaventare gli investitori e causare una fuga di capitali dal paese che renderebbe insostenibili tutti i programmi di aiuto alla povertà introdotti da Morales.