Il declino di Atlantic City
In 9 mesi hanno chiuso quattro casinò, uno dopo l'altro: il racconto della profonda crisi economica della città del gioco d'azzardo più nota negli Stati Uniti, dopo Las Vegas
di Tina Griego – Washington Post @tinagriego
Il Trump Plaza, il quarto hotel casinò a chiudere quest’anno sul lungomare di Atlantic City, è stato dichiarato morto alle 5:59 della mattina di martedì 16 settembre, ed è stato come un vero trauma. Centro di grande fascino per trent’anni, alla fine sembrava che avesse fumato troppo e bevuto pesantemente, e avesse bisogno di una doccia. Il Trump Plaza si trovava al centro del lungomare di Atlantic City. Uscivi dalla superstrada e te lo ritrovavi davanti, questo monolito bianco sporgente, con i tappeti macchiati, le buche per strada transennate e l’insegna al neon “U LAZA” malamente visibile dal lungomare.
Marie Morlachetta si è fermata domenica sera per salutare il personale. Scoprendo che non c’era carta igienica in bagno, ha detto: «questo posto è andato in malora da un pezzo, ma io lo amo ancora». La mattina che il casinò ha chiuso, un fanatico di cimeli si è piazzato davanti alle macchinette delle slot machine – lampeggianti, a tutto volume – per cercare di validare un biglietto all’ora più vicino possibile al momento della chiusura definitiva del casinò.
Per lo più, i banchi impacchettavano le fiche, e le cameriere servivano gli ultimi caffè e le ultime vodka, e tutti controllavano gli orologi. Quella sera si sono riuniti in centinaia nel bar aperto 24 ore su 24 in cui i dipendenti erano soliti andare dopo il lavoro. Si chiamavano l’uno con l’altro, una sfilza di Johnny e Kenny e Joey e Ritchie e Debbie.
Alcuni dipendenti hanno lasciato il Plaza anni fa per i pascoli più verdi dei casinò di altri stati, ma molti di loro hanno trascorso la loro intera carriera professionale lì dentro. «Abbiamo passato trent’anni insieme», ha detto Debbie Forter, una cameriera. «Siamo stati insieme più tempo di quanto non capiti nella maggior parte dei matrimoni». Poi sono usciti nel parcheggio, fumando sigarette, scattandosi fotografie e raccontandosi storie dei tempi in cui Donald Trump ancora andava forte e i giocatori del casinò facevano puntate da 10 mila dollari e davano mance da mille, e le celebrità andavano e venivano come polvere di fata. «Era inebriante», dice Ken Gonsalves, il croupier che ha cominciato nel 1984.
Il Plaza era diventato uno degli esemplari zoppicanti di una “mandria” di 12 casinò ad Atlantic City. Nessuno è rimasto sorpreso quando il Plaza non è più riuscito ad attirare il giocatore pigro, il genere di turista da cui Atlantic City dipendeva. «Perché dovrei guidare per due ore e mezzo per venire qui, se ho il Mount Airy Casinò a 45 minuti da casa?», domanda Peter Bryn di Budd Lake, New Jersey, mentre si trova ad Atlantic City per un convegno.
E così suona la campana a morte per il monopolio della East Coast. Funziona così nell’era dei casinò pubblici. Lo stato arriva quando le cose vanno bene. Lascia che si ingrandiscano. Li super-tassa. E poi si incamera i guadagni prima che i soldi attraversino il confine. Nel 2006 le entrate dal gioco d’azzardo, al lordo, erano di 9,5 miliardi di dollari, per quanto riguarda il mercato statunitense nord-orientale. Nel 2013 erano 11,7 miliardi di dollari, un tasso di crescita annuo del 3 per cento, dice David G. Schwartz, direttore del Centro di Ricerca sul Gioco all’università del Nevada, Las Vegas. Alcuni casinò prosperano. Altri languono. I nuovi rubano clienti ai vecchi. In una parola: cannibalizzazione.
«Il monopolio del gioco d’azzardo ad Atlantic City è finito cinque anni fa, e non riuscivo a spiegarmi il fatto che nessuno si fosse svegliato e avesse detto che si stava chiudendo un capitolo e occorreva aprirne un altro», dice Donald “Don” Guardian, sindaco di Atlantic City dallo scorso gennaio e il cui slogan in campagna elettorale è stato “Un nuovo inizio”. «Abbiamo messo tutte le uova nello stesso paniere [puntare tutto su una certa cosa, ndr], e solitamente non si mettono mai tutte le uova nello stesso paniere».
In questi giorni nell’aria di Atlantic City c’è una specie di consapevolezza tardiva. Questa città è nota per il suo pessimismo. (“State costruendo il futuro di Atlantic City?”, chiede un cronista a un operaio sul cantiere di costruzione del Bass Pro Shop. “La sua prossima scomparsa”, gli ha risposto quello). Ma non è tutto qui quello che si trova ad Atlantic City, che è sempre stato un posto di contraddizioni. L’artificiosità delle luci al neon, la realtà della gente in fila per ottenere i buoni pasto, il degrado urbano persistente, la spettacolare bellezza della natura, il fatto che sia una città multietnica, multirazziale, poliglotta – una città che ti entra sotto pelle, che ti impedisce di darla per persa. “Gli abitanti dicono che è come la sabbia che ti entra nelle scarpe”, racconta Stanley Smith, il capo della sicurezza al Trump Plaza. “E una volta che ti entra nelle scarpe, non te ne liberi”.
Una città che si reinventa da capo ogni volta, tra la memoria dei bei giorni dei tempi andati e la promessa di giorni futuri migliori. In una città in riva al mare, c’è sempre una prossima stagione. Anche se ora c’è da affrontare una crisi economica. “E vogliamo parlare degli effetti a catena?”, dice Frank Formica, un funzionario della contea di origini italiane, proprietario di una panetteria a conduzione familiare fondata 95 anni fa che rifornisce i casinò. “Gli effetti a catena sono maremoti”.
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In nove mesi hanno chiuso quattro casino. Un quinto potrebbe aggiungersi entro il Giorno del Ringraziamento [27 novembre, ndr]. Quasi ottomila lavoratori sono stati licenziati. Molti di questi posti di lavoro erano considerati ottime posizioni, con diversi benefit. Le persone ci hanno fatto carriera. E poi hanno comprato casa. Hanno cresciuto i figli e li hanno mandati al college, e tutti andavano regolarmente dal dentista e dall’estetista. Non serve molto a capire quali possano essere stati gli effetti a catena, dal punto di vista economico.
“Abbiamo circa 800 dipendenti di casinò che abitano qui”, ha detto James “Sonny” McCullough, sindaco di Egg Harbor Township. “È già successo. Quando i casinò cominciarono a licenziare nel 2008 e 2009, e cominciarono ad assumere lavoratori part-time, abbiamo cominciato a vedere un sacco di pignoramenti. Far funzionare una città costa ancora allo stesso modo di allora. Ci sono i costi per la raccolta dei rifiuti. Quelli per le forze dell’ordine e per l’istruzione. Il 65 per cento dei fondi statali se ne va per l’istruzione”.
Le cose hanno cominciato ad andare male nel 2007, l’anno in cui la Pennsylvania aprì alle slot-machine anche noto come Anno del Non Ritorno. Nel giro di quattro anni, la Pennsylvania ha scalzato Atlantic City dalla seconda posizione nella classifica delle entrate annuali in gioco d’azzardo. Nel 2013, dice Schwartz, il totale delle entrate derivanti dal gioco d’azzardo in Pennsylvania, al lordo, è stato di 3,1 miliardi di dollari. Quasi due terzi di quelle entrate provenivano dalle zone orientali della Pennsylvania – giocatori che altrimenti avrebbero speso i loro soldi ad Atlantic City, nel New Jersey. Mentre la Pennsylvania cresceva, Atlantic City è precipitata da un picco di 5,2 miliardi di guadagni lordi dei casinò, nel 2006, a 2,8 miliardi nel 2013.
Considerando che il lungo monopolio di Atlantic City è finito in coincidenza dell’inizio della grande recessione, rapidamente le cose sono andate da male in peggio. Ray Ngo, un croupier del Trump Plaza, ha tirato fuori dalla tasca la sua ultima busta paga. Retribuzione netta: 95,59 dollari. La retribuzione settimanale dei banchi del Trump Plaza è progressivamente scesa da un massimo di 20 dollari all’ora a una media di 10 dollari all’ora. Nell’ultima settimana di lavoro, chi lavora ai banchi ha guadagnato 6,56 dollari all’ora.
Gli effetti a catena si notano nelle 2.091 richieste di sussidio di disoccupazione presentate da dipendenti di casinò dopo la chiusura dello Showboat e del Revel, altri due famosi casinò della zona. Si notano negli oltre 1.500 disoccupati che si sono presentati e hanno parlato con 60 dipendenti del Dipartimento di Sviluppo del Lavoro durante una fiera del lavoro al centro congressi di Atlantic City. E si notano anche nell’aumento delle imposte immobiliari – già tra le più alte negli Stati Uniti – che ad Atlantic City hanno avuto una crescita a doppia cifra. Il novanta per cento delle entrate statali della città proviene dalle imposte immobiliari.
Nel 2010, la valutazione del totale delle proprietà era di 20,5 miliardi di dollari, dice Michael Stinson, direttore del dipartimento delle finanze ad Atlantic City. Nel 2014 quella stessa valutazione è scesa a 11,3 miliardi, e continua a scendere. Questa caduta è in gran parte il risultato delle richieste di rivalutazione ottenute dai casinò. A causa delle ristrettezze economiche in cui si trova ora la città, dice Stinson, il governo federale e quello di stato stanno versando un totale di 30 milioni di dollari per coprire le spese per servizi essenziali come quelle per i vigili del fuoco fino alla fine dell’anno.
Meno soldi Atlantic City versa per il bilancio della contea, più ne devono versare le giurisdizioni vicine: il che ha comportato che le imposte immobiliari crescessero anche per loro. Frank Formica è il capo del consiglio dei supervisori della Contea di Atlantic e rappresenta l’area di Atlantic City. È anche il titolare della panetteria Formica Bros. che produce da 20 mila e 50 mila pani e panini al giorno, e ha circa 70 dipendenti. “Al Trump Plaza, nel periodo migliore, fornivamo tra 2 mila e 3 mila forme di pane al giorno”, ha detto. “L’Atlantic Club ne richiedeva mille al giorno. Il Revel un duemila al giorno circa”.
Formica ha detto di aver ampliato il suo mercato all’interno della contea e di esser diventato fornitore negli ultimi cinque anni di più di altri cento clienti, nel tentativo di prevenire le perdite che temeva sarebbero arrivate. “Allora la gente potrebbe chiedersi ‘ma di che si lamenta, Formica?’. Il punto è che trasportavo i prodotti per quei cento clienti nel raggio di un miglio [poco più di un chilometro e mezzo] tra la mia panetteria e i casinò. Ora, continuiamo a farlo ma nel raggio di 40 miglia [circa 65 chilometri], e dobbiamo impiegare due camion in più e un maggior numero di autisti che comportano 180 ore di lavoro e mille miglia di carburante in più, a settimana, più le spese di pedaggi e consumo dei materiali”.
Però, dice Formica, “dagli incendi nelle foreste nascono nuovi alberi. Questa, per Atlantic City, è un’occasione per diventare quello che soltanto lei può diventare”.
“Una cosa che non è mai stata sottolineata riguardo quello che sta succedendo qui”, ha aggiunto Formica, è che “nessun’altra città degli Stati Uniti potrà mai essere il primo monopolio esclusivo fuori dal Nevada. Nessun’altra città ha un’autorizzazione legislativa per esercitare questo monopolio. Nessun’altra città a parte Las Vegas ha avuto successo come Atlantic City, e nessun’altra potrebbe averlo… noi eravamo i soli rivali di Las Vegas, e ora tutti sono nostri rivali”.
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Atlantic City è una città di 40 mila abitanti sparsi lungo 48 isolati, lunga tre quarti di miglio considerando la sua ampiezza maggiore. Ha un reddito di circa 270 milioni di dollari. Circa un terzo dei residenti vive in stato di povertà. Più di due terzi dei suoi abitanti con 25 anni o più hanno un diploma di scuola superiore, o meno di quello.
A luglio il suo tasso di disoccupazione era del 13,9 per cento, più del doppio di quello di tutto il New Jersey. La buona notizia è che è inferiore a quello del 2013. La cattiva notizia è che la forza lavoro della città si sta riducendo. Arriveranno altri tagli. I dolori saranno inevitabili, dice il sindaco Guardian, anche se spera di evitare licenziamenti di massa al municipio.
Guardian è un tipo risoluto, e ha in mente un piano di diversificazione che include: la trasformazione di Atlantic City in città universitaria, che possa fornire una migliore istruzione ai suoi residenti; i lavori di estensione del lungomare; e quelli di costruzione di un porto equivalente all’Inner Harbor di Baltimora. Guardian prevede un piano per far crescere le vendite al dettaglio della città e diversificare l’offerta turistica per attrarre un pubblico più esteso.
“Dobbiamo diventare una città vera e non soltanto una città da reality show”, dice.
Nessuno, sostiene il sindaco, ha mai assistito alla chiusura di quattro casinò in un anno. Un quinto, il Trump Taj Mahal, è in bancarotta, e i proprietari parlano di un’imminente chiusura se non ci saranno investimenti. Il Taj fa capo a una proprietà gigantesca, come lo era quella del Revel Casinò. Lo Showboat, che sta in mezzo, se la cavava bene. Se il Taj dovesse chiudere, un’intera estremità del lungomare cadrebbe nel silenzio. E se c’è una cosa che sul lungomare di Atlantic City non è ammessa è il silenzio.
Quindi, gli investitori hanno fiutato l’affare, e l’offerta al ribasso è pronta. La costruzione del Revel costò 2,4 miliardi di dollari. L’offerta iniziale all’asta dovrebbe essere di 90 milioni di dollari. Comunque la si metta, la città ospita tuttora un mercato del gioco d’azzardo da più di due miliardi di dollari. I casinò di Atlantic City nelle altre zone vicine, soprattutto quelli vicino al mare, hanno incrementato i loro guadagni con la chiusura dei grandi casinò, e qualche anno fa alcuni hanno cominciato a espandersi per trasformarsi in resort e altri tipi di strutture di intrattenimento.
Inoltre, come chiunque vi direbbe qui indicando con le braccia la spiaggia e l’orizzonte sull’oceano atlantico, “abbiamo tutto questo”.
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La mattina dopo la chiusura del Trump Plaza, un barista 51enne del Plaza siede insieme a una cameriera del Plaza di 54 anni in un centro provvisorio allestito dal Dipartimento del Lavoro, e la aiuta a compilare una richiesta di contributi per la disoccupazione. “Questo è tutto quello che so”, dice lei. I nuovi disoccupati si muovono da un centro a un altro, compilando richieste per i buoni pasto, se necessario, e ricevono – in inglese, spagnolo e gujarati – informazioni di consulenza sul credito, ipoteche, formazione professionale, previdenza sociale e semplici bollette da pagare.
Gonsalves, uno dei banchi del Plaza, dice che sua moglie è una dipendente part-time al Borgata, uno dei maggiori casinò della città, e quindi lui ora trascorrerà un po’ di tempo per dedicarsi alla casa. Un giorno, quando i loro figli saranno grandi, gli racconterà della sua ultima notte al Plaza e come ha affrontato l’ultima mano.
Nell’ultima ora di attività del casinò, si giocava a un solo tavolo ancora. C’erano due giocatori seduti. Uno era il marito di una dipendente, e intanto riceveva consigli da Gonsalves. L’altro era un tipo trasandato, in un giaccone mimetico, che poi non ha rivelato il suo nome.
Gonsalves – un fenomeno, quando dà le carte – fa le sue cose. Mister X continua a perdere mano dopo mano raccontando da quanto accidenti di tempo gioca al Trump Plaza e di quanto il Plaza sia stato mal gestito.
“Vedete, sono qui per ragioni sentimentali, davvero”, dice il tipo. “Voglio giocare un’ultima mano”.
“D’accordo, ultima mano, signori”, dice il responsabile del casinò.
Gonsalves distribuisce le carte. “Buona fortuna”, gli dice.
“All in”, fa Mister X. “Facciamo questa follia, su”.
Nessuno ricorderà cosa avevano in mano i due giocatori, perché Gonsalves tira fuori un asso. E poi tira fuori una regina.
Blackjack.
Il banco vince. Il banco perde. Ed è così che va ed è sempre andato, ad Atlantic City.