Cosa succede in Messico dopo Iguala?
La sparizione dei 43 studenti nello stato di Guerrero è un grosso guaio per il presidente Peña Nieto, che non è riuscito a gestire corruzione e gruppi criminali del paese
Sulle prime pagine di quasi tutti i giornali messicani si parla da giorni del ritrovamento di 28 corpi carbonizzati in una serie di fosse comuni vicino alla città di Iguala, nello stato di Guerrero, uno dei posti più violenti di tutto il Messico. Negli scorsi giorni, a causa del massacro, in diverse città del paese ci sono state enormi manifestazioni contro il governo, accusato di essere colluso con la criminalità organizzata e di essere coinvolto in qualche maniera nell’uccisione degli studenti. I corpi sono stati ritrovati lo scorso 6 ottobre dopo che alcuni membri di un cartello della droga hanno condotto sul posto i militari messicani e gli agenti della polizia federale. È probabile che i corpi appartengano a un gruppo di 43 studenti impegnati di attività politica di estrema sinistra, scomparsi alla fine dello scorso settembre dopo essere stati arrestati dalla polizia di Iguala. L’ipotesi che circola di più in questi giorni è che gli studenti siano stati assassinati dalla polizia in collaborazione con il cartello della droga locale, su ordine di alcuni politici di Iguala. Il sindaco della città e il capo della polizia sono scomparsi da giorni.
La notizia del massacro degli studenti ha fatto riparlare la stampa internazionale dei problemi e delle violenze che affliggono il Messico, paese dove sono molto influenti le grandi organizzazioni criminali dedite al commercio della droga. Da quando è stato eletto circa due anni fa, il presidente Enrique Peña Nieto ha cercato di dare un’immagine del Messico verso l’esterno diversa da quella del passato: ha liberalizzato in parte l’economia e cercato di attrarre nuovi investitori stranieri, ha inoltre cercato di cambiare le strategie nella lotta ai cartelli criminali (con alterni successi, come avevamo raccontato qui).
Secondo molti giornalisti, il massacro di Iguala ha messo in ombra gli sforzi di Peña Nieto. Si è trattato infatti di uno degli episodi più violenti della storia recente messicana. Negli ultimi anni è accaduto spesso che i cartelli della droga compissero massacri simili, ma questi regolamenti di conti in genere riguardavano membri di organizzazioni criminali rivali. A Iguala per la prima volta i cartelli hanno preso di mira degli studenti, che non avevano praticamente mai minacciato direttamente i loro interessi. Come ha scritto sul New York Times Ioan Grillo, giornalista che segue le vicende della criminalità messicana da più di dieci anni: «Essere governati da una classe politica corrotta ed egoista può essere spiacevole. Ma immaginate di essere governati da gangster sociopatici. Questo tipo di governanti risponderebbero a una manifestazione studentesca nell’unico modo che conoscono: una violenza estrema, concepita per causare terrore».
Gli studenti scomparsi frequentavano l’università rurale di Ayotzinapa, una città vicina al capoluogo dello stato di Guerrero. Il 26 settembre erano partiti dalla loro università per andare a manifestare ad Iguala. A quanto pare per raggiungere la città avevano “sequestrato” due autobus privati. Si tratta di una pratica piuttosto comune nella zona. L’università di Ayotzinapa è frequentata soprattutto dai figli di famiglie contadine della zona. Moltissimi sono di origine indios e hanno un redditto molto basso. L’università di Ayotzinapa è un luogo molto radicale: le sue pareti sono coperte di ritratti di Che Guevara e Lenin e l’ideologia rivoluzionaria è ancora molto sentita, alimentata dalla povertà della regione, dalla criminalità organizzata e dalla corruzione della classe politica. Le proteste degli studenti spesso sono piuttosto violente. Gli autobus per recarsi alle manifestazioni vengono letteralmente sequestrati e gli autisti costretti a trasportare gli studenti nei luoghi delle manifestazioni. Una volta arrivati sul posto, gli studenti spesso organizzano blocchi stradali o compiono atti di vandalismo che possono culminare in scontri con la polizia.
Per quanto il clima nello stato di Guerrero sia teso e violento, non era mai accaduto qualcosa di simile a quello che è successo il 26 settembre. Vicino ad Iguala gli autobus sono stati fermati dalla polizia. A quanto pare gli studenti sono scesi dai mezzi e hanno cercato di rimuovere con la forza le auto della polizia che bloccavano la strada. A quel punto è iniziata una sparatoria. Gli agenti, con l’aiuto forse di alcune persone in abiti civili, hanno sparato sugli studenti uccidendone almeno tre e ferendone altre decine. In molti sono riusciti a fuggire sulle colline vicine, mentre in 43 sono stati arrestati. Da quel momento di loro non si è avuta più notizia, almeno fino al ritrovamento delle fosse comuni lo scorso 6 ottobre.
Come ha scritto Grillo, l’impressione di molti è che nelle aree più violente del Messico si sia venuta a creare una vera e propria continuità tra la classe politica e le organizzazioni criminali. È diventato impossibile, scrive The Atlantic, capire se sono i criminali a lavorare per i politici o i politici a lavorare per i criminali. O se, direttamente, i criminali si sono fatti eleggere in politica. Quello che sembra essere certo è che a Iguala qualcuno ha provato a risolvere problemi di ordine politico, una turbolenta manifestazione di studenti arrabbiati, con i metodi della criminalità organizzata.
Peña Nieto ha promesso più volte mettere fine alla corruzione della classe politica messicana e di mettere un freno alla criminalità organizzata, ma non tutti sono convinti che stia facendo tutto il possibile per cambiare le cose. E non solo a causa del massacro di Iguala. Un’importante legge contro la corruzione, ad esempio, è ferma da quasi due anni in parlamento in attesa di essere approvata. Alcuni importanti politici sono stati indagati negli Stati Uniti per riciclaggio e altri reati, ma nessuna accusa nei loro confronti è stata portata avanti in Messico. Il suo partito, il Partito Istituzionale Rivoluzionario, è una formazione che è rimasta al potere in Messico per gran parte dell’ultimo secolo e secondo molti osservatori è una delle formazioni più coinvolte nel fenomeno della corruzione. Per Peña Nieto, quindi, sarebbe difficile affrontare seriamente un problema che colpisce il suo stesso partito.
Il problema però non è soltanto una questione di facciata. La campagna anti-corruzione e anti-crimine di Peña Nieto aveva anche lo scopo di tranquillizzare gli investitori stranieri per attirare capitali. In particolare, il governo messicano è interessato agli investimenti da parte delle grandi compagnie petrolifere (proprio per questo motivo lo scorso settembre ha liberalizzato il mercato dell’estrazione del petrolio). La strategia ha avuto in parte successo e il 2013 è stato un anno record per gli investimenti stranieri in Messico. Tuttavia, ha raccontato Reuters, molte società petrolifere preferiscono non investire in Messico o farlo in modo limitato, proprio per i problemi causati da corruzione e criminalità. Per operare in Messico queste società devono spendere molto denaro nella sicurezza. Questo finisce con il danneggiare i loro profitti e rende il paese poco attraente per gli investimenti.