La malata di ebola in Spagna
Il primo caso di contagio fuori dai paesi africani è quello di un'infermiera che ha contratto il virus dopo aver curato a Madrid due missionari che si erano ammalati in Africa
Il primo caso di contagio da ebola fuori dall’Africa è quello di un’infermiera di un ospedale di Madrid a cui martedì è stata diagnosticata l’infezione. Secondo l’ipotesi più plausibile ha contratto il virus attraverso il contatto con uno dei due missionari spagnoli che erano stati rimpatriati dopo essersi ammalati di ebola in Africa. La notizia, che segue di una settimana quella del primo caso di ebola diagnosticato negli Stati Uniti (un uomo che aveva contratto la malattia in Liberia), suona come un ulteriore sviluppo di una temuta espansione dell’epidemia fuori dall’Africa, dove finora sono morte circa 3400 persone. E occupa martedì grandissimo spazio sui quotidiani spagnoli.
L’infermiera dell’ospedale Carlos III contagiata ha 40 anni, si chiama Teresa Romero, dicono le cronache spagnole, è sposata e non ha figli. Fa parte del gruppo di circa 30 persone che aveva curato i due missionari – provenienti dalla Liberia e dalla Sierra Leone – morti entrambi per il virus. La donna aveva segnalato una prima febbre il 30 settembre e da allora era stata messa sotto osservazione per eventuali ulteriori sintomi riconducibili a ebola, riscontrati poi ufficialmente il 6 ottobre. La donna si era rivolta prima all’ospedale di Alcorcón (a sud est di Madrid) e poi era stata trasferita al Carlos III.
Le autorità sanitarie spagnole stanno anche cercando di individuare le persone con cui Teresa Romero ha avuto a sua volta dei contatti dal giorno della segnalazione al ricovero (il giorno dopo la morte del missionario da cui probabilmente è stata contagiata, la donna è stata anche in vacanza, ma non si hanno notizie sul luogo). Comunque, 52 persone sono attualmente sotto osservazione e lavorano nei due ospedali che hanno accolto l’infermiera: quello di Alcorcón, dove alcune zone sono state sigillate, e il Carlos III di Madrid. Dovranno misurarsi la temperatura due volte al giorno, ma potranno condurre una vita normale poiché il virus non è contagioso fino a quando non compaiono i primi sintomi (come la febbre, appunto). Il marito della donna, Javier Limón, (che sta collaborando con le autorità per ricostruire i vari spostamenti della moglie) è stato invece messo in quarantena pur non avendo alcun sintomo della malattia.
Nel frattempo, l’infermiera sta ricevendo delle cure che prevedono l’iniezione di anticorpi prelevati dal sangue di altri pazienti che sono guariti. Del donatore non si ha alcuna notizia, ma il direttore dell’ospedale ha riferito che la donna sta reagendo. Teresa Romero aveva un cane che verrà molto probabilmente soppresso per «evitare potenziali rischi di diffusione del virus», come ha spiegato Felipe Vilas, presidente dell’associazione dei veterinari di Madrid. Il cane, attualmente, si trova con acqua e cibo nella casa (sigillata) dell’infermiera e del marito, il quale dovrà comunque dare il suo permesso perché venga praticata sull’animale l’iniezione letale; se non darà il suo assenso, verrà fatta richiesta ad un giudice. Non ci sono molti studi sull’ebola e i cani, ma nelle zone in cui la malattia si è sviluppata un numero “non trascurabile” di animali ha presentato alti livelli di anticorpi e questo significa che ha contratto il virus: non è stato possibile dimostrare la trasmissione della malattia dagli animali all’uomo, ma non si può escludere che l’animale possa espellere il virus diventando così una potenziale fonte di contagio.
Il ministro della Sanità spagnola Ana Mato ha dato rassicurazioni sul fatto che la Spagna partecipi attivamente e con attenzione ai piani di prevenzione fin da quando Ebola virus è stato dichiarato un’emergenza, dicendo anche che tutti i protocolli di sicurezza sono stati rispettati: è stato anche creato un numero per ottenere informazioni o chiarimenti sul virus. Secondo le prime ricostruzioni, l’infermiera avrebbe avuto due contatti con il missionario malato, il primo per il cambio di un pannolino e il secondo, dopo la morte dell’uomo, per raccogliere del materiale dalla sua stanza: forse in questo modo sarebbe avvenuto il contagio, anche se è stato ribadito che in tutte le occasioni sono stati seguiti i protocolli di sicurezza e che la donna “aveva le necessarie protezioni”.
Alcuni dipendenti del Carlos III hanno però criticato l’attrezzatura anti-contagio dell’ospedale sostenendo che non soddisfa i requisiti di sicurezza: i guanti e la tuta, per esempio, sarabbero tenuti insieme da dei nastri adesivi. Il vicepresidente dell’ospedale ha smentito, ipotizzando che, nel caso dell’infermiera contagiata, si sarebbe trattato “di un errore umano”. La Commissione europea ha comunque fatto sapere di attendere dalla Spagna delle spiegazioni sulle circostanze del contagio e sulle eventuali carenze nel sistema sanitario. Il Comitato di sicurezza sanitaria dell’UE, che riunisce esperti provenienti da 28 stati membri e l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) discuteranno domani, mercoledì 8 ottobre, del caso dell’infermiera spagnola. «La priorità è quella di sapere cosa è successo», ha detto un portavoce della Commissione, ammettendo che «ovviamente, da qualche parte c’è stato un problema».
Nella foto: l’entrata dell’ospedale Carlos III di Madrid (Gonzalo Arroyo Moreno/Getty Images)