La guerra contro l’IS non ha un nome
Negli Stati Uniti si discute da settimane su come chiamare le "Operazioni in Iraq e in Siria": è un tema delicato e non si vuole ripetere la scelta infelice per la guerra in Afghanistan
Da qualche settimana nell’esercito e nell’amministrazione statunitense si è iniziato a discutere sul nome da dare all’operazione militare che gli Stati Uniti stanno compiendo in Iraq e in Siria contro lo Stato Islamico (IS). Fino a ora governo e la stampa internazionale hanno continuato a riferirsi agli attacchi contro l’IS con il generico “Operazioni in Iraq e Siria” e anche l’ultima proposta presentata da alcuni funzionari dell’esercito al dipartimento della Difesa – “Operation Inherent Resolve” (difficilmente traducibile in italiano: potrebbe essere una cosa come “Operazione Soluzione Dedicata”) è stata bocciata.
Gli Stati Uniti hanno una lunga tradizione nel dare nomi alle loro operazioni militari soprattutto quando si tratta di piani estesi e con tempi di battaglia previsti lunghi: uno dei più conosciuti ed efficaci fu “Desert Storm” (“Tempesta nel Deserto”), per la guerra del Golfo contro Saddam Hussein del 1990-1991. Il piano contro l’IS è uno di questi: alla coalizione guidata dagli Stati Uniti hanno aderito una sessantina di paesi, con forme di coinvolgimento diverse; gli attacchi aerei contro postazioni dell’IS in Siria vanno avanti da dieci giorni, quelle in Iraq sono ancora precedenti; il presidente Barack Obama ha ottenuto l’autorizzazione del Congresso ad addestrare e armare gruppi di ribelli moderati siriani in centri militari sauditi; e l’amministrazione ha già iniziato a collaborare con forze di terra locali (soprattutto curde e irachene) per fermare l’avanzata dello Stato Islamico.
Il nome “Operation Inherent Resolve” non è stato approvato per diversi motivi: stando a quando scrive il Wall Street Journal, alcuni funzionari l’hanno scartato perché non evocava in maniera abbastanza diretta il Medio Oriente, altri perché non indicava efficacemente l’estesa coalizione che è stata messa in piedi contro l’IS. Un funzionario dell’amministrazione ha detto che “Operation Inherent Resolve” è stato presentato in realtà come un nome di transizione, ma che non ha mai avuto l’aspirazione di includere tutti i punti del piano militare annunciato da Obama il 10 settembre scorso. Ora lo Stato maggiore congiunto (organo che riunisce i capi di stato maggiore di ciascun ramo delle forze armate statunitensi) ha chiesto al generale Lloyd Austin, capo del Comando Centrale, di proporre nuove opzioni.
I primi ad attribuire dei nomi propri alle operazioni militari furono i tedeschi nella Prima guerra mondiale, seguiti dagli Stati Uniti nella Seconda guerra mondiale. Dall’inizio degli anni Novanta le amministrazioni americane cominciarono a usare i nomi in codice per condizionare la percezione dell’opinione pubblica nei confronti di una guerra. Nel dicembre 1989 gli Stati Uniti invasero Panama: l’operazione militare, che inizialmente fu chiamata “Operation Blue Spoon”, (“Operazione cucchiaio blu”), fu poi rinominata con il più efficace “Operation Just Cause” (“Operazione Giusta Causa”), che riprendeva il concetto più spendibile politicamente di “guerra giusta”. Ancora oggi è rimasta l’abitudine di attribuire nomi in codice per le operazioni che impegnano i soldati americani: ancora prima che una parte dei 3mila soldati americani incaricati di aiutare a fermare la diffusione di ebola arrivasse in Libera, la missione era già stata chiamata “Operation United Assistance” (“Operazione Assistenza Unificata”).
L’amministrazione americana non ha ancora spiegato ufficialmente i motivi per cui non è ancora stato dato un nome alla guerra contro l’IS. La spiegazione più plausibile, scrive il WSJ, è che semplicemente fino ad ora non è stato trovato alcun nome adeguato. La scelta dei nomi in codice è molto delicata perché può anche rivelarsi infelice, come dimostra il caso dell’Afghanistan: l’operazione militare cominciata alla fine del 2001 dopo gli attacchi dell’11 settembre al World Trade Center fu chiamata “Operation Enduring Freedom” (“Operazione libertà duratura”): il nome oggi fa indiretto riferimento al fatto che quella guerra è diventata la più lunga mai combattuta nella storia degli Stati Uniti. A dicembre del 2014, termine fissato per il ritiro di quasi tutti gli ultimi soldati americani ancora presenti in territorio afghano, l’operazione verrà rinominata “Operation Resolute Support” (“Operazione Sostegno Risoluto”).
Il dipartimento della Difesa ha spiegato che l’attuale operazione militare contro l’IS sta attingendo a un programma di stanziamento fondi già approvato in passato. L’amministrazione americana non ha così urgenza di chiedere al Congresso l’approvazione di nuovi fondi – procedura resa più facile se ci si può riferire all’operazione in questione con un nome in codice. Più urgenza potrebbe invece esserci per l’assegnazione delle medaglie al valore: le medaglie per le precedenti operazioni militari americane in Iraq, “Operation Iraqi Freedom” e “Operation New Dawn”, non vengono più conferite. Per ora, comunque, sembra che la medaglia al valore attribuita ai soldati che combattono la guerra contro l’IS sarà la “Global War on Terrorism Expeditionary Medal”.
I consiglieri del segretario della Difesa, Chuck Hagel, e del presidente dello Stato maggiore congiunto, il generale Martin Dempsey, hanno assicurato che nessuno sta perdendo tempo pensando al nome da dare alla guerra contro l’IS (anticipando forse qualche critica). La ricerca sembra stia proseguendo grazie a un programma del dipartimento della Difesa, il “Code Word, Nickname and Exercise Team System” (abbreviato in NICKA), che elabora le informazioni sulla base dei nomi in codice del passato, cercando di individuare i parametri per il futuro. Il programma, comunque, non arriva ad elaborare nuove proposte di nomi.
Martin Dempsey, in basso a sinistra, insieme ad altri membri dell’esercito americano dopo avere partecipato a una riunione sull’IS a Washington. (Brian Blanco/Getty Images)