Il malato di ebola a Dallas
Quattro suoi familiari sono stati messi in quarantena, ma dalla Liberia lo accusano di avere mentito sulla malattia ai controlli aeroportuali, quando è partito
A Dallas in Texas, dove per la prima volta è stato diagnosticato un caso di ebola negli Stati Uniti, quattro persone che erano entrate in contatto con la persona affetta dal virus – Thomas Eric Duncan, liberiano che aveva da poco raggiunto dei parenti negli Stati Uniti – sono state messe in quarantena per motivi di sicurezza. Dopo avere effettuato ulteriori controlli, le autorità sanitarie stimano che Duncan sia entrato in contatto con almeno un centinaio di persone prima di essere ricoverato in ospedale, dove sta ricevendo terapie per aiutarlo a superare la malattia. Thomas Friedman, direttore dei Centri per la prevenzione e il controllo delle malattie (CDC) ha spiegato che l’attenzione è comunque concentrata su un numero ridotto di persone, che ha vissuto a stretto contatto con il paziente.
Duncan aveva contratto il virus ebola mentre si trovava a Monrovia, la capitale della Liberia. A metà settembre aveva aiutato una ragazza incinta a raggiungere un ospedale perché presentava diversi sintomi tipici di ebola, a partire dalla febbre molto alta. La clinica non la accettò perché il reparto per le malattie infettive era pieno, e Duncan insieme ad altre persone la aiutò a tornare a casa, dove morì poche ore dopo. Stando alle ricostruzioni, altre persone che l’aiutarono, oltre a Duncan, avrebbero in seguito contratto il virus.
Binyah Kesselly, responsabile della sicurezza negli aeroporti liberiani, ha annunciato che Duncan potrebbe essere denunciato dal governo della Liberia per non avere dichiarato di essere entrato in contatto con persone affette da ebola virus prima di intraprendere il suo viaggio in aereo verso gli Stati Uniti (con tappa intermedia a Bruxelles, in Belgio). A quanto risulta, Duncan avrebbe risposto “no” a tutte le domande del questionario su ebola che deve essere compilato prima di poter salire su un aereo di linea in Liberia.
Duncan ha iniziato ad avere i primi sintomi della malattia giovedì scorso, quando era già arrivato negli Stati Uniti. Si era recato in ospedale, ma i medici lo avevano rimandato a casa consigliandogli una cura antibiotica, nonostante avesse detto a un’infermeria di essere arrivato da poco dalla Liberia. Domenica i familiari di Duncan hanno chiamato un’ambulanza per portarlo di urgenza in ospedale, dove è stato ricoverato. Se il ricovero fosse avvenuto subito, giovedì della scorsa settimana, si sarebbero sensibilmente ridotte le possibilità di contagiare altre persone.
L’appartamento in cui fino a qualche giorno fa viveva Duncan, e nel quale vivono ancora quattro persone, non è stato ancora disinfettato opportunamente. La squadra incaricata di farlo non ha potuto eseguire la pulizia perché non ha, ancora, i permessi per potere trasportare lenzuola, asciugamani e altri oggetti potenzialmente infettati fuori dall’appartamento e per strada. La mancanza dei permessi ha rallentato le operazioni e non è ancora chiaro quando potrà essere eseguita la pulizia.
In Liberia, intanto, un cameraman freelance statunitense che di solito lavora per NBC News è risultato positivo ai test su ebola. È il quinto cittadino degli Stati Uniti ad avere contratto la malattia, ha 33 anni ed è stato trasferito negli Stati Uniti per essere curato. Il suo nome non è stato reso noto, ma si sa che si sarebbe messo da solo in isolamento quando ha iniziato ad avere la febbre, e che in seguito il personale di Medici Senza Frontiere lo avrebbe aiutato a fare i test per verificare la possibile infezione da ebola. Il personale di NBC che ha lavorato con lui sarà trasferito di urgenza negli Stati Uniti e messo in isolamento per almeno tre settimane, il periodo massimo di incubazione della malattia.
L’Organizzazione Mondiale della Sanità stima che fino a ora i contagi siano stati più di 6.800 e le morti oltre 3.150. Il paese con il numero più alto di casi è proprio la Liberia, con quasi 2mila morti, seguito dalla Sierra Leone e dalla Guinea. Il virus ebola fu identificato per la prima volta nel 1976 nella Repubblica Democratica del Congo: si diffonde attraverso il contatto con il sangue e gli altri fluidi corporei. Ebola finora non ha mai portato a epidemie su grande scala proprio perché causa – di solito in breve tempo – la morte dell’organismo che ha infettato, riducendo quindi i tempi per il contagio. Ebola causa febbre, vomito, disturbi intestinali e nei casi più gravi emorragie interne. Il suo tasso di mortalità è molto alto e oscilla tra il 50 e l’89 per cento, a seconda del ceppo virale e della salute dell’organismo che prova a infettare. Il tipo che si è diffuso in questi mesi nell’Africa occidentale è lo “Zaïre ebolavirus” (ZEBOV), e ha il più alto tasso di mortalità.
Un’ambulanza della Croce Rossa nelle vicinanze dell’appartamento di Duncan, a Dallas in Texas.
(Tom Pennington/Getty Images)