Che aria tira in Indonesia
A poche settimane dall'insediamento, le cose per il nuovo presidente Joko Widodo si complicano e molti dubitano che potrà mantenere le promesse elettorali
Dallo scorso luglio l’Indonesia ha un nuovo presidente: Joko Widodo, detto “Jokowi”. Si era candidato con il Partito democratico indonesiano di lotta (Pdi-P), laico e nazionalista, ha 53 anni, prima era governatore di Giacarta, è di umili origini, non appartiene alle élites politiche che avevano governato finora e, soprattutto, non ha alcun legame con il passato autoritario del paese, dove il dittatore Suharto è rimasto al potere per 31 anni dal 1967 al 1998. A poco più di due mesi dall’elezione e a poche settimane dal suo insediamento ufficiale – che avverrà il prossimo 20 ottobre – Widodo si trova ad affrontare una situazione piuttosto complicata.
Joko Widodo aveva basato la propria campagna elettorale su un programma molto ambizioso che prevedeva la lotta alla corruzione, il miglioramento dell’istruzione e del sistema sanitario pubblico, l’indebolimento dei tradizionali apparati di potere e una semplificazione della burocrazia: era stato sostenuto, per questi stessi motivi, sia dai giovani delusi dalle precedenti esperienze di governo sia dagli investitori locali, ma anche internazionali. Dopo la sua vittoria diverse aziende straniere tra cui Mitsubishi Motors e Samsung Electronics avevano annunciato infatti l’intenzione di espandere le loro operazioni nel paese. Diversi analisti pensano però che le molte aspettative nei confronti di Widodo rimarranno deluse.
Nel nuovo parlamento Widodo può contare su una coalizione che è in minoranza e le opposizioni contestano apertamente molti dei piani di riforma di Widodo. Il partito del candidato alla presidenza sconfitto da Widodo, il generale in pensione Prabowo Subianto che, peraltro, è genero del dittatore Suharto, è inoltre riuscito ad ottenere, negli ultimi giorni, quella che è stata definita “una grande vittoria”: è riuscito cioè a nominare un proprio esponente alla presidenza del parlamento, un incarico molto ambito che non ha ottenuto invece il Pdi-P di Widodo. Un presidente ostile e un blocco delle opposizioni che si preannuncia molto forte renderà insomma molto complicato il processo delle riforme annunciate dal nuovo presidente.
Widodo stesso ha già messo le mani avanti: ha ad esempio annunciato che poco più della metà del suo gabinetto sarà formato da tecnici mentre il resto dei posti sarà riservato a dei politici, mentre in precedenza aveva affermato che la proporzione sarebbe stata 80 a 20. E alcune persone a lui vicine hanno cominciato a dire che «le aspettative sono molto alte», che nei primi cento giorni sarà difficile che ci siano grandi cambiamenti, che sarà complicato «accontentare tutte le parti» e che il partito del nuovo presidente si deve preparare «ad affrontare una ricaduta».
A conferma del fatto che non sarà semplice governare, c’è una legge approvata a pochi giorni dalla fine della legislatura dal Parlamento indonesiano uscente: prevede di abolire l’elezione diretta dei governatori e dei sindaci alle amministrative. Molti analisti hanno visto in questa nuova norma un’azione diretta contro il processo di democratizzazione in generale, ma anche contro il nuovo presidente: quest’ultimo, infatti, è entrato in politica venendo eletto come sindaco (e dunque direttamente dai cittadini), e poi, sempre attraverso un’elezione diretta, è diventato governatore di Giacarta e ha potuto guadagnare consensi e venire eletto presidente. Widodo ha commentato la nuova legge dicendo che si tratta di un «grande passo indietro» per il paese aggiungendo che gli amministratori eletti dal popolo hanno «un obbligo morale» nei confronti degli elettori proprio perché «sono stati scelti» da loro. Dopo l”approvazione della legge, fuori dell’aula, si sono state molte proteste e manifestazioni di dissenso anche da parte di attivisti politici e cittadini.