Il primo caso di ebola diagnosticato negli Stati Uniti
È stato diagnosticato a un uomo ricoverato in un ospedale del Texas, dopo essere arrivato dalla Liberia
A Dallas, nel Texas (Stati Uniti), è stato confermato il primo caso di infezione da ebola virus diagnosticato negli Stati Uniti. La notizia è stata diffusa da Tom Frieden, responsabile dei Centri per la prevenzione e il controllo delle malattie (CDC), che hanno il compito di tenere sotto controllo e prevenire la diffusione delle epidemie. Il paziente, identificato in serata come Thomas Eric Duncan, residente di Monrovia (Liberia) tra i quaranta e i cinquant’anni, è ricoverato presso il Texas Health Presbyterian Hospital ed è tenuto in isolamento. L’ipotesi è che abbia contratto il virus, che ha già causato oltre 3mila morti in Africa occidentale, mentre si trovava in Liberia prima di fare un viaggio verso gli Stati Uniti un paio di settimane fa.
Frieden ha spiegato che Duncan avrebbe lasciato la Liberia il 19 settembre scorso, arrivando il giorno successivo su suolo statunitense. All’inizio non presentava alcun sintomo riconducibile a una infezione da ebola virus. I sintomi sono diventati evidenti intorno al 24 settembre e quattro giorni dopo la persona è stata ricoverata e messa in isolamento nell’ospedale texano. Da quanto si è capito Duncan non aveva collaborato al trattamento o all’assistenza di persone con infezioni da virus ebola conclamate mentre era in Liberia.
Il personale sanitario degli Stati Uniti è ora al lavoro per identificare tutte le persone con cui Duncan è entrato in contatto negli ultimi giorni, mentre era contagioso. Le persone coinvolte saranno tenute sotto controllo per tre settimane per verificare che non sviluppino la malattia. Frieden non ha escluso che qualche parente sia entrato in contatti più stretti e intimi con Duncan, aumentando le probabilità di avere contratto il virus. Ebola non si trasmette infatti per via aerea, ma solo attraverso fluidi corporei.
Frieden ha comunque tranquillizzato l’opinione pubblica, particolarmente sensibile ai timori legati a ebola negli Stati Uniti dove i media per settimane hanno dedicato molto spazio al tema, spesso con toni eccessivamente allarmistici. Il responsabile dei CDC ha ricordato che la malattia non si diffonde come una comune influenza, e che terranno «sotto controllo quest’ultimo caso, in modo che non si diffonda nel paese». Negli ultimi mesi, negli Stati Uniti, sono stati trattati con successo altri pazienti con infezioni da ebola, per lo più personale sanitario impegnato nei paesi dell’Africa occidentale dove è iniziata l’epidemia. In quei casi l’infezione era stata diagnosticata all’estero e trattata poi negli Stati Uniti: il caso di Dallas è stato invece il primo a essere diagnosticato direttamente in America.
Stando alle stime più recenti dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, le infezioni da ebola rilevate nell’Africa occidentale sono state oltre 6.800 e i morti più di 3.150. Il paese con il maggior numero di casi è la Liberia con quasi 2mila morti, seguito dalla Sierra Leone con 564 morti e dalla Guinea con 668. Le stime non sono precise perché, nonostante gli sforzi dell’OMS e di diverse organizzazioni non governative, è impossibile tenere traccia di tutti i casi, soprattutto nelle aree rurali dei paesi africani coinvolti.
Nell’estate ha suscitato particolare attenzione la notizia dei primi casi di ebola riscontrati in Nigeria, che hanno fatto temere la diffusione della malattia in uno dei paesi più grandi dell’Africa. I casi certi sono stati almeno 20 e 8 persone sono morte, ma grazie all’impegno delle autorità sanitarie il contagio è stato contenuto rapidamente. Dall’8 settembre scorso non ci sono più notizie di nuovi casi. L’OMS ha annunciato che se continueranno a non esserci novità, il 20 ottobre prossimo la Nigeria potrà essere dichiarata nuovamente libera dall’ebola.
Il virus ebola fu identificato per la prima volta nel 1976 nella Repubblica Democratica del Congo. Il virus si diffonde attraverso il contatto con il sangue e gli altri fluidi corporei: finora non ha portato a epidemie su grande scala proprio perché causa, di solito in breve tempo, la morte dell’organismo che ha infettato, riducendo quindi i tempi per il contagio. Ebola causa febbre, vomito, disturbi intestinali e nei casi più gravi emorragie interne. Il suo tasso di mortalità è molto alto e oscilla tra il 50 e l’89 per cento, a seconda del ceppo virale e della salute dell’organismo che prova a infettare. Il tipo che si è diffuso in questi mesi nell’Africa occidentale è lo “Zaïre ebolavirus” (ZEBOV), e ha il più alto tasso di mortalità.