Le buone cose che Renzi ha fatto
Non sono ancora nei risultati di governo, scrive Angelo Panebianco, ma nel cambiamento della politica e della sinistra sì
In un articolo sul Corriere della Sera Angelo Panebianco si occupa del dibattito recente sui successi e gli insuccessi del governo Renzi, e scrive dei risultati e dei cambiamenti già ottenuti dal presidente del Consiglio rispetto a diverse tendenze presenti nella politica italiana e nella sinistra degli ultimi decenni: il nuovo rapporto con i sindacati, l’introduzione dell’idea di leadership in ambienti ostili alle leadership, la fine dell’antiberlusconismo.
Il commento di Panebianco è oggi in prima pagina, sullo stesso giornale dove pochi giorni fa c’era un editoriale molto severo e critico verso Renzi firmato dal direttore Ferruccio De Bortoli, e dove oggi il titolo di apertura è ricavato da alcune parole di Massimo D’Alema contro Renzi. Nel Corriere di oggi, inoltre, c’è anche un articolo sull’ipotesi che Diego Della Valle si metta in politica contro Renzi.
Contano solo le realizzazioni pratiche o anche le innovazioni culturali? Dobbiamo valutare una leadership solo per gli obiettivi concreti che ha raggiunto o anche per la qualità delle idee che diffonde, per la visione che cerca di trasmettere? Contano solo i «fatti» e il resto, tutto il resto, è soltanto chiacchiera? Se pensiamo che importino solo i fatti, le realizzazioni, gli obiettivi raggiunti, allora il giudizio sui primi sei mesi del governo Renzi (che si è insediato il 22 febbraio 2014) non è molto positivo. Sarà colpa della complessità e della lentezza del processo decisionale in Italia, sarà colpa delle divisioni entro i gruppi parlamentari del Partito democratico (ove coloro che remano contro Renzi sono tanti), sarà colpa – come gli imputano molti critici – del suo carattere, di una certa superficialità, di una sua tendenza all’improvvisazione e alla ricerca dell’applauso facile, non sorretta da un’adeguata conoscenza dei problemi, o una combinazione di questi e di altri fattori, ma i risultati di sei mesi di governo non appaiono esaltanti né numerosi. Il carnet di Renzi non è ancora molto ricco e l’encefalogramma sempre piatto dell’economia nazionale è lì a testimoniarlo.
Ma è solo in questo modo che va valutata una leadership? Oppure contano anche altri fattori, i cui effetti non sono magari immediatamente misurabili, le cui conseguenze non appaiono subito visibili ma che possono provocare, nel tempo, cambiamenti di vasta portata? Molti pensano, con ragione, che Renzi non raggiunga ancora la sufficienza in realizzazioni pratiche ma non possono negargli un nove o un dieci in innovazione culturale. Forse questa è anche la vera ragione del vasto consenso di cui gode nel Paese. Renzi sta cambiando, o si sforza di cambiare, non solo il volto ma anche l’anima della sinistra italiana, incidendo per questa via sulla più generale cultura politica del Paese. Sono almeno quattro gli ambiti in cui ha radicalmente innovato. Per cominciare, ha spazzato via in un colpo solo l’antiberlusconismo. Per venti anni l’antiberlusconismo è stato il cuore dell’identità della sinistra italiana. Anzi, esso era diventato la sinistra tutta intera: null’altro la definiva e la teneva insieme. Sono rimasti solo i Cinque Stelle a sventolare la bandiera antiberlusconiana. Senza troppo successo, a quanto pare. Grazie a Renzi, bisogna dirlo, la qualità della vita è migliorata. Non si inciampa più ad ogni piè sospinto in quei fissati, quegli ossessionati da Berlusconi che annoiavano tutti parlando solo di lui e che negli ultimi venti anni incontravi continuamente, ovunque andassi.
Renzi, relegando l’antiberlusconismo fra gli abiti dismessi, sta cambiando l’identità della sinistra. Un compito che può assumersi solo uno che ha autentiche qualità di leader. In secondo luogo, il premier ha aggredito il tabù della «Costituzione più bella del mondo», ha attaccato il conservatorismo costituzionale della sua parte politica. Non sappiamo come andrà a finire la riforma del Senato (giudicheremo alla fine: in materia costituzionale sono i dettagli che contano) ma almeno possiamo dire che ci ha provato sul serio.
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Foto: AP Photo/Jason DeCrow