Cos’è il “gruppo Khorasan”?
È la misteriosa nuova cellula di al Qaida colpita insieme all'IS dagli attacchi americani in Siria, e forse tecnicamente non esiste
Nella notte tra il 22 e il 23 settembre gli Stati Uniti – con una minima ma simbolicamente importante collaborazione di cinque paesi arabi – hanno attaccato alcune postazioni dello Stato Islamico (IS) in Siria, per la prima volta dall’inizio della guerra civile siriana. Le aree più colpite sono state quelle al confine tra Siria e Iraq e attorno alla città di Raqqa, considerata la capitale del Califfato Islamico. Col passare delle ore ha cominciato a circolare la notizia di attacchi aerei compiuti anche a ovest di Aleppo e a nord di Idlib, zone dove lo Stato Islamico non c’è più da circa nove mesi. Il dipartimento della Difesa ha detto che questi attacchi hanno colpito una temibile cellula di al Qaida che stava progettando degli attentati terroristici negli Stati Uniti e in Europa: il suo nome è “gruppo Khorasan”.
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Nei giorni seguenti si è cominciato a parlare di questo “gruppo Khorasan”, su cui nessuno fino a quel momento aveva grandi informazioni. Alcuni funzionari della stessa amministrazione americana hanno poi detto – smentendo le dichiarazioni del 23 settembre – che i progetti di attentati terroristici erano ancora ben lontani dall’essere completati e che non esistevano in realtà prove che i miliziani avessero deciso tempi, luoghi e metodi degli attacchi. Sono passati due giorni dall’inizio delle operazioni militari in Siria, ma l’intera faccenda rimane ancora piuttosto confusa, anche se alcune cose certe – e messe in ordine – possono aiutare a capire che diavolo sta succedendo in Siria.
Da dove salta fuori il “gruppo Khorasan”?
Gli attacchi contro il gruppo Khorasan hanno spinto molti analisti a dire che l’operazione militare era già andata molto al di là dei limiti che lo stesso presidente Barack Obama si era dato presentando il suo piano il 10 settembre: non si trattava più solo di “respingere indietro” l’IS, né di “indebolire e distruggere” le sue postazioni, ma anche di eliminare una minaccia ancora più grande, di una cellula di al Qaida fino a quel memento semi-sconosciuta. Del gruppo Khorasan, infatti, nessuno sapeva niente fino a una settimana fa. I primi a parlarne erano stati due giornalisti di Associated Press, Ken Dilanian e Eileen Sullivan, che il 13 settembre scorso avevano pubblicato un articolo dal titolo “Al-Qaida’s Syrian Cell Alarms US” (“Un cellula siriana di al Qaida allarma gli Stati Uniti”). L’articolo iniziava così:
«Funzionari statunitensi dicono che mentre lo Stato Islamico attira la maggior parte delle attenzioni su di sé, un altro gruppo di estremisti in Siria – un misto di jihadisti provenienti da Afghanistan, Yemen, Siria ed Europa – minacciano in maniera più diretta e imminente gli Stati Uniti, lavorando insieme agli yemeniti che costruiscono le bombe per colpire gli aerei americani»
Nonostante la notizia notevole riportata da AP, la storia del gruppo Khorasan era passata inosservata per diversi giorni. Una settimana dopo, il 20 settembre, la storia era stata ripresa dal New York Times, che l’aveva tenuta per diverse ore sulla sua homepage come notizia principale, attirando un naturale interesse da parte di giornalisti ed esperti. In pratica, al momento dell’attacco aereo americano nella notte tra il 22 e il 23 settembre quello che si sapeva del gruppo Khorasan era più o meno questo: il suo obiettivo era compiere attentati contro Stati Uniti ed Europa, anche con l’uso di aerei civili; le sue basi si trovavano nelle zone nel nord-ovest della Siria, dove erano stati messi in piedi dei campi di addestramento riservati ai combattenti con passaporto occidentale; il suo leader era Muhsin al Fadhli, veterano di al Qaida con forti legami con la leadership del gruppo in Pakistan (al Fadhli era così vicino a bin Laden che era tra i pochi a conoscere i piani dell’11 settembre 2001 prima che fossero compiuti gli attentati).
Come però hanno fatto notare diversi analisti ed esperti di cose siriane, il gruppo Khorasan di fatto non esiste. Secondo Aaron Zelin, analista del Washington Institute e fondatore del sito Jihadology, i membri di quello che l’amministrazione americana chiama “gruppo Khorasan” sono semplicemente jihadisti di al Qaida provenienti da Afghanistan, Pakistan e Iran. Sarebbero arrivati in Siria e si sarebbero uniti al Fronte al Nusra, che formalmente rimane l’unico rappresentante di al Qaida in Siria, che a sua volta è nemico dello Stato Islamico. La faccenda è piuttosto complicata: sia perché non è ancora del tutto chiaro cosa sia il gruppo Khorasan, sia perché non si capisce il motivo per cui l’amministrazione americana voglia chiamare con un nome non suo un gruppo che è arcinoto, che combatte contro Assad praticamente dall’inizio della guerra e che è già inserito nella lista statunitense delle organizzazioni terroristiche. Tra le altre cose, anche i ribelli siriani, ha scritto il giornalista di NBC Richard Engel, non hanno mai sentito parlare di Khorosan e dei suoi leader.
Il “sorpasso a destra” di al Qaida
Aron Lund, analista del think tank “Syria in Crisis”, ha scritto una cosa chiara e ordinata sul gruppo Khorasan, mettendo in ordine quello che si può dire finora con certezza. “Iniziamo con il nome”, scrive Lund: “Khorasan” è un termine islamico molto antico usato oggi da al Qaida per descrivere la regione compresa tra Afghanistan, Pakistan e Iran. Il gruppo Khorasan non è un’organizzazione autonoma, ma è una rete all’interno di un’altra rete a cui sono stati affidati compiti specifici. In pratica, il “gruppo Khorosan” è una cellula del Fronte al Nusra, a cui però sono stati attribuiti dei compiti particolari dal medico egiziano Ayman al-Zawahiri, il successore di Osama bin Laden a capo di al Qaida. Il termine “gruppo Khorasan” è stato inventato per una questione di comodità (e convenienza, ci arriviamo) dall’intelligence statunitense, per indicare semplicemente un gruppo ristretto di miliziani che si occupa di cose diverse rispetto ai compiti affidati ad al Nusra.
Gli ultimi dieci anni di vita del leader del gruppo Khorasan, Mushin al-Fahdli, raccontano un pezzo di storia recente di al Qaida poco conosciuto. Fahdli è un veterano di al Qaida, di origini kuwaitiane: sembra che abbia fatto parte di quella piccola cellula di qaedisti che dopo l’invasione americana dell’Afghanistan nel 2001 si rifugiarono in Iran, un paese nemico (al Qaida è sunnita, l’Iran è una teocrazia islamica sciita). In pratica il governo iraniano tenne i membri del gruppo sotto stretta sorveglianza, senza però metterli in carcere, estradarli o ucciderli: in cambio, sembra, ottenne la garanzia che al Qaida non compisse degli attentati in territorio iraniano. Negli ultimi anni molti di questi miliziani sono stati ricollocati in altre zone del Medio Oriente: apparentemente Fadhli è stato mandato in Siria, dove sotto la protezione del Fronte al Nusra potrebbe avere cominciato a organizzare attentati contro l’Occidente. Da qualche mese a questa parte per al Qaida è diventato ancora più urgente “riaffermare le sue credenziali jihadiste di fronte alle sfide poste alla sua legittimità dallo Stato islamico” (detto in termini politichesi nostri: per evitare di essere “sorpassato a destra” dallo Stato Islamico). Il piccolo gruppo guidato da Fadhli, comunque, continuerebbe a rispondere direttamente al capo di al Qaida, Ayman al-Zawahiri, così come al Nusra.
Quindi: perché dire che si attacca un gruppo che non esiste?
Le informazioni sul gruppo Khorasan fatte trapelare dall’amministrazione di Obama attraverso la stampa americana potrebbero essere corrette, anche se il tempismo della loro diffusione ha fatto emergere parecchie domande. La maggior parte degli analisti è d’accordo nel ritenere che il gruppo Khorosan sia assimilabile al Fronte al Nusra (anche se, come dice Daniele Raineri sul Foglio, «Jabhat al Nusra non è autorizzata a compiere attacchi contro i paesi occidentali o contro i regimi arabi», a differenza del gruppo Khorasan): rimane il fatto che “distinguere gli uomini di Fadhli dal resto del Fronte al Nusra e dall’apparato di al Qaida in Siria è molto più facile a dirsi che a farsi”. L’utilità di separarli nel discorso pubblico sembra legata più che altro alla necessità del governo americano di non dire apertamente che i bombardamenti sono diretti anche contro i miliziani di al Nusra, oltre che contro l’IS.
Non può dirlo, almeno per ora, per almeno quattro motivi. Primo: nelle zone attorno ad Aleppo e Idlib il Fronte al Nusra sembra godere di un buon appoggio da parte della popolazione locale, grazie anche al fatto che è uno dei pochi gruppi militarmente capaci di contrapporsi all’esercito di Assad (e per i molti gruppi ribelli che vedono ancora Assad come il loro principale nemico questo particolare è ancora più rilevante). Colpire i miliziani di al Nusra rischia di alienare quindi le simpatie dei siriani verso gli americani. Secondo: per lungo tempo al Nusra ha combattuto a fianco dei ribelli più moderati, gli stessi che gli Stati Uniti hanno cominciato ad addestrare e armare con lo scopo di sconfiggere lo Stato Islamico. Indebolire al Nusra potrebbe equivalere a togliere la poca forza militare che rimane ai ribelli siriani moderati, che nei piani statunitensi dovrebbero riempire i territori e i vuoti amministrativi creati dal ritiro dell’IS.
Terzo: considerato che al Nusra – insieme allo Stato Islamico – è uno dei gruppi ribelli militarmente più forti, il rischio è che gli attacchi statunitensi possano finire per favorire in maniera piuttosto netta Bashar al Assad, perché indeboliscono i suoi due nemici più temibili. Il regime di Bashar al Assad è lo stesso che negli ultimi tre anni ha ucciso almeno 200mila siriani ed è stato descritto a lungo dalla stampa occidentale come uno dei peggiori di tutto il mondo (per esempio quando nell’agosto 2013 bombardò con armi chimiche due quartieri orientali di Damasco). Quarto: gli Stati Uniti potrebbero dare l’impressione di colpire le “milizie sunnite” in Siria, mandando per aria la loro strategia contro l’IS in Iraq, basata proprio sulla necessità di riacquistare la fiducia dei sunniti che pochi mesi fa si erano alleati con l’IS contro il governo sciita di Nuri al Maliki. In pratica, colpire al Nusra potrebbe dare l’impressione ai sunniti siriani e iracheni che gli Stati Uniti stiano favorendo gli sciiti: e come dimostra un recente titolo del New York Times, il rischio di dare le impressioni sbagliate è molto grande.
Wrong message, on so many levels pic.twitter.com/Qfv9MMfgG9
— Daniele Raineri (@DanieleRaineri) 24 Settembre 2014
Gli attacchi contro il gruppo Khorasan mostrano infine un’ultima cosa: la persistente rilevanza della leadership di al Qaida in Pakistan con a capo l’egiziano Ayman al-Zawahiri, che a differenza di quanto ha detto Obama alle Nazioni Unite mercoledì 24 settembre sembra essere ancora in grado di progettare attacchi terroristici contro gli Stati Uniti.