A che punto è il caso Gambirasio
Se ne riparla per via di un documento della difesa di Bossetti che vuole smontare le prove raccolte sul DNA, ma che molti hanno presentato un po' frettolosamente
Da metà giugno, un uomo di nome Massimo Giuseppe Bossetti si trova in carcere perché accusato di essere il presunto assassino di Yara Gambirasio, una ragazzina di 13 anni di Brembate di Sopra (Bergamo) uccisa nel 2010, e il cui caso è da allora seguito con molta attenzione – a volte eccessiva e morbosa – dai media italiani. Bossetti è stato arrestato dopo un’indagine molto complessa e laboriosa, incentrata sul DNA raccolto sul corpo di Gambirasio. La scorsa settimana gli avvocati di Bossetti hanno provato a ottenere la sua scarcerazione presentando un’istanza di circa 40 pagine nelle quali sono contestati diversi elementi presentati dall’accusa, e messe in dubbio le prove sul DNA raccolte dal Reparto Investigazioni Scientifiche (RIS) dei Carabinieri. La richiesta di scarcerazione è stata respinta dal giudice per le indagini preliminari (GIP), ma i legali di Bossetti sperano di ottenere un risultato diverso presentando una richiesta simile al tribunale del riesame di Brescia.
La morte di Yara Gambirasio
Yara Gambirasio scomparve nel tardo pomeriggio del 26 novembre 2010, quando non era tornata a casa dopo uno dei suoi allenamenti in palestra a Brembate. Il suo corpo fu ritrovato solo tre mesi dopo, lungo un torrente nei pressi del paese di Chignolo d’Isola, a circa una decina di chilometri di distanza da Mapello, dove si erano in precedenza concentrate le ricerche. Il luogo del ritrovamento fu indicato dagli investigatori come quello in cui era stata uccisa Gambirasio, che probabilmente era stata trasportata nella zona contro la sua volontà da qualcuno, forse per violentarla. Le analisi sul corpo indicarono almeno un colpo ricevuto alla testa e ferite da arma da taglio alla gola, al torace, alla schiena e ai polsi.
DNA
Analizzando i vestiti di Yara Gambirasio, gli investigatori trovarono una traccia di un fluido corporeo (forse sangue) il cui DNA era diverso da quello della ragazzina. Questa singola traccia divenne il punto centrale delle complicatissime indagini durate circa tre anni per risalire al presunto assassino. Il DNA fu indicato come appartenente a “Ignoto 1” e nel 2011 fu trovata una corrispondenza parziale del campione con un uomo di nome Damiano Guerinoni. Da questo si risalì a tre suoi cugini con una compatibilità genetica ancora più alta, fu esumato il loro padre, Giuseppe Guerinoni, e si scoprì che “Ignoto 1” era suo figlio. Dopo un’altra serie di indagini, che raccontammo qui più nel dettaglio, gli investigatori scoprirono che Guerinoni era il padre biologico di Bossetti, avuto in seguito a una relazione extraconiugale con la madre. Confrontando un campione di DNA ottenuto da Bossetti, a sua insaputa, fu possibile trovare la corrispondenza del suo DNA con quello ritrovato sui vestiti di Gambirasio.
Le contestazioni della difesa sul DNA
Nella loro istanza, respinta dal GIP, i legali di Bossetti riprendono la relazione del RIS sulle tracce di DNA trovate sui vestiti di Gambirasio – la prova che viene ritenuta più consistente contro il presunto assassino – nella quale si legge:
Una logica prettamente scientifica che tenga conto dei non pochi parametri che si è tentato di sviscerare in questa sede non consente di diagnosticare in maniera inequivoca le tracce lasciate da Ignoto 1 sui vestiti di Yara.
Secondo la difesa, con questa affermazione i RIS ammettono che non vi possa essere nessuna certezza sulla prova del DNA raccolta sul corpo di Gambirasio.
La versione del RIS
Estrapolata dal resto della relazione, la parte indicata dai legali di Bossetti sembra in effetti mettere in dubbio la qualità del campione di DNA ritrovato, ma nel documento del RIS è spiegata un’ulteriore distinzione. Il “non consente di diagnosticare in maniera inequivoca le tracce” non è riferito al DNA, ma al liquido in cui fu trovato il campione. La macchia che fu trovata sui vestiti di Gambirasio era infatti composta dal sangue della ragazzina e da una sostanza lasciata da un’altra persona, probabilmente l’assassino. I test hanno permesso di escludere che questa sostanza sia saliva o liquido seminale, mentre hanno indicato la possibilità (non la certezza) che si tratti di sangue. L’incertezza sulla tipologia della sostanza è dovuta, tra le altre cose, al fatto che il corpo di Gambirasio rimase per circa tre mesi esposto alle intemperie prima di essere ritrovato.
Quindi, semplificando, il RIS sostiene che la sequenza di DNA di “Ignoto 1” è “certa al di là di ogni dubbio”, mentre non può essere detto con certezza su quale sostanza sia stata ritrovata sui vestiti di Gambirasio. I tecnici escludono “ragionevolmente” anche la possibilità che ci possano essere stati errori o contaminazioni durante gli esami di laboratorio, altro elemento che però viene contestato dagli avvocati di Bossetti.
Cellulare
Oltre alle contestazioni sul campione del DNA, la difesa nell’istanza sostiene che l’ultimo ripetitore al quale si agganciò il cellulare di Gambirasio si trovava a Brembate, nei pressi della palestra, e non a Mapello dove nello stesso momento era stata rilevata anche la presenza del cellulare di Bossetti. Il GIP ha respinto anche questo punto, concordando con la procura sul fatto che dai documenti prodotti dalle compagnie telefoniche sia evidente che i due cellulari erano presenti nella medesima cella della rete cellulare.
Polvere
Infine, la difesa ha chiesto che sia chiarito meglio se sui vestiti e sul corpo di Gambirasio fossero presenti tracce di polvere di calce, provenienti secondo l’accusa da un cantiere e quindi compatibili con il lavoro di muratore svolto da Bossetti. Anche in questo caso il GIP ha confermato le informazioni contenute nella relazione del medico legale, nel quale si fa riferimento alla presenza di “tracce di polvere di calce” sulla pelle e sui vestiti del corpo di Gambirasio.
Riesame
In seguito alla negazione da parte del GIP della richiesta di scarcerazione di Bossetti, i legali hanno annunciato che presenteranno una nuova istanza, al tribunale del riesame. Questa pratica è prevista nel diritto processuale penale e vi si fa ricorso quando si viole impugnare la decisione di una misura cautelare. La decisione spetta a magistrati esterni non coinvolti nel caso giudiziario che prima devono decidere sull’ammissibilità della richiesta, e in seguito decidere se annullarla, riformarla o confermare l’ordinanza già attuata.