Altri 130mila profughi in Turchia
Fuggono dal nord della Siria, dove proseguono gli scontri tra ribelli curdi e Stato Islamico: è il più grande spostamento di massa dall'inizio della guerra civile
Da venerdì scorso è in corso in Turchia un esodo di massa di decine di migliaia di persone provenienti dalla parte settentrionale della Siria, spinte a lasciare le loro abitazioni a causa degli scontri tra le forze curde locali e le milizie dello Stato Islamico (IS): dopo aver preso da tempo il controllo di parte del territorio iracheno e siriano, nei giorni scorsi l’IS ha preso possesso di numerosi villaggi curdi nel nord della Siria. Negli ultimi quattro giorni si calcola che più di 130 mila persone abbiano attraversato il confine: il Washington Post lo definisce “il peggior esodo di rifugiati dall’inizio della guerra in Siria”, tre anni e mezzo fa.
Una portavoce delle Nazioni Unite ha detto che rispetto ai giorni scorsi il flusso si è ridotto, dopo che la Turchia ha ridotto il numero di valichi di frontiera da nove a due. Nelle operazioni di controllo al confine le persone vengono innanzitutto perquisite in cerca di armi, ricevono assistenza sanitaria e vaccini per i bambini, dopodiché vengono identificate e viene loro fornito un documento da mostrare in Turchia alle autorità locali. In quattro giorni circa 200 mila persone hanno abbandonato l’area intorno alla città di Kobani, in Siria, uno dei luoghi di scontri tra curdi e Stato Islamico.
Diversi attivisti e rifugiati riferiscono che gli estremisti dell’IS che hanno preso il controllo dei villaggi curdi stanno uccidendo con violenza i curdi che rapiscono. Sebbene molti curdi siano di religione musulmana, spiega il Washington Post, i militanti dello Stato Islamico li considerano come apostati.
I curdi appartengono a una delle più numerose etnie al mondo prive di uno stato di appartenenza. Comunità curde si trovano nel nord e nell’est della Siria, in Iraq, in Turchia e in Iran: soltanto in Iraq godono di una certa autonomia amministrativa, effettiva e rilevante solo da dopo la caduta di Saddam Hussein in poi. La campagna del Kurdistan per respingere l’avanzata dello Stato Islamico è promossa dal Governo Regionale Curdo, che amministra una vasta regione autonoma nel nord dell’Iraq e le cui unità hanno ricevuto armi e supporto dagli Stati Uniti.
La situazione dei curdi al confine con la Turchia è resa ancora più complicata, seguendo un’altra considerazione: i ribelli che, sostenuti dagli Stati Uniti, stanno respingendo lo Stato Islamico si sospetta abbiano rapporti con il Partito dei Lavoratori del Kurdistan (PKK), un’organizzazione indipendentista curda che è considerata un gruppo terroristico da Turchia, Stati Uniti e Unione Europea (il PKK e il governo turco si sono scontrati per quasi trent’anni prima di giungere alla firma di una tregua nel marzo del 2013).