Il romanzo di Frank Lampard
Un calciatore inglese – simbolo del Chelsea – è finito un po' casualmente a giocare nel Manchester City: ieri ha segnato un gol decisivo contro la sua vecchia squadra, tra gli applausi di tutti
La partita di domenica tra Manchester City e Chelsea – tra le più attese della quinta giornata della Premier League, il più importante campionato inglese di calcio – è finita 1-1: il Chelsea è stato in vantaggio fino all’84esimo minuto, quando il centrocampista Frank Lampard ha segnato il gol del pareggio, sette minuti dopo essere entrato in campo in sostituzione di un compagno di squadra. Da circa venti minuti il Manchester City stava giocando in dieci a causa di un’espulsione.
Chi segue il calcio distrattamente potrebbe aver pensato a un refuso, nel leggere che Lampard ha segnato un gol contro il Chelsea: Frank Lampard ha giocato nel Chelsea per 13 anni e ne è stato uno dei giocatori più famosi e apprezzati: un simbolo. Invece Lampard ha proprio fatto gol per il Manchester City – peraltro un gol decisivo, a pochi minuti dalla fine, nella prima partita contro la sua ex squadra – e dopo non ha esultato per rispetto verso i suoi ex tifosi.
Da dove comincia questa storia, quindi: Lampard ha 36 anni ed è uno dei più noti e apprezzati centrocampisti in Inghilterra. Gioca più o meno regolarmente nella nazionale inglese dal 1999, ha giocato nel Chelsea per 13 anni (648 partite) ed è il giocatore che ha segnato più gol (211) nella storia del club pur non essendo un attaccante. Con il Chelsea ha vinto tre campionati inglesi e una Champions League, la più importante competizione calcistica europa per club.
Alla fine della scorsa stagione, alla scadenza del suo contratto con il Chelsea, Lampard è andato a giocare negli Stati Uniti: solo che la sua squadra, il New York City FC, è stata fondata un anno fa e ancora non disputa il campionato. Per il momento ha sei giocatori, è di proprietà al 75 per cento del Manchester City –posseduto a sua volta dal potente imprenditore e politico degli Emirati Arabi Uniti Khaldoon Al Mubarak – e del 25 per cento dei New York Yankees, la storica squadra di baseball della città. Giocherà nello stadio degli Yankees ma non potrà partecipare alla MLS, il principale campionato americano, prima della stagione 2015, che inizierà in marzo. Nel frattempo i suoi giocatori sono in prestito in giro: lo spagnolo David Villa per esempio gioca in Australia al Melbourne City, di proprietà sempre di Khaldoon Al Mubarak. Anche Frank Lampard è andato per sei mesi in prestito in una squadra dello stesso proprietario: il Manchester City, campione d’Inghilterra in carica.
Sia quando è entrato in campo sia al termine della partita, dopo aver segnato il gol che ha impedito al Chelsea di vincere la partita, Frank Lampard è stato salutato con cori affettuosi, applausi e standing ovation dai tifosi del Chelsea presenti a Manchester.
Lampard entra al minuto 4:28:
Durante le interviste televisive a fine partita, Lampard ha detto di aver avuto emozioni contrastanti dopo il gol. «È piuttosto difficile. Sarei stato poco professionale se non fossi entrato in campo per fare il mio lavoro», ha detto, ringraziando poi i tifosi della sua ex squadra e anche quelli del Manchester City. «Sono alla fine della mia carriera e questo è un prestito a breve termine. Ho avuto 13 anni splendidi al Chelsea, sono venuto qui e sono stato accolto». Durante i pochi minuti giocati, Lampard è stato spesso contrastato dal suo ex compagno di squadra e amico John Terry, e di lui ha detto: «Lo ha fatto per anni in allenamento, John blocca qualsiasi cosa, è così che gioca». E alcuni hanno notato che durante le interviste ha detto «quelli del City meritavano il pareggio», parlando della sua attuale squadra usando il “loro”.
Il portoghese José Mourinho, attuale allenatore del Chelsea, che ha allenato Frank Lampard per cinque anni (dal 2004 al 2007, e poi di nuovo nel 2013), ha detto: «Frank Lampard è un giocatore del Manchester City, quando ha deciso di andare a giocare per una diretta avversaria del Chelsea allora la storia d’amore è finita. Credo che quando un giocatore lascia una squadra e va a giocare per una sua diretta avversaria, non sta andando lì in vacanza, sta andando per provarci e per battere il suo ex club: quello che tutti considerano la sua squadra del cuore, ma che non lo è più».