È finito il coprifuoco in Sierra Leone
Era iniziato venerdì per contenere la diffusione dell'ebola, il governo lo ha definito «un enorme successo»
In Sierra Leone sono terminati i tre giorni di coprifuoco decisi dal governo per limitare l’epidemia di ebola: da venerdì scorso i sei milioni di abitanti del paese sono rimasti in casa e le attività commerciali sono rimaste chiuse. Il governo ha definito l’operazione un «enorme successo» che ha permesso di individuare i malati, rimuovere i cadaveri infetti e istruire le persone sui rischi e le modalità di contagio della malattia. Circa 30 mila operatori sanitari, volontari e insegnanti hanno partecipato all’operazione, visitando porta a porta gran parte delle abitazioni del paese.
Stephen Gaojia, a capo delle operazioni di emergenza in Sierra Leone, ha detto che sono stati rimossi 92 corpi infetti dalle case e dalle strade, e che 123 persone hanno contattato le autorità temendo di essere malate: di queste 56 sono risultate positive all’ebola, 31 negative e 36 sono ancora in attesa dei risultati. Gajola ha spiegato che i medici non sono riusciti a raggiungere tutte le zone del paese, come per esempio alcuni quartieri di Freetown e Kenema, ma che nonostante questo il coprifuoco non verrà esteso «perché gli obiettivi sono stati ampiamente raggiunti».
Il coprifuoco imposto in Sierra Leone è al momento la più aggressiva e ambiziosa operazione messa in atto da un governo contro l’ebola, ed è stato accompagnato da critiche e preoccupazioni. Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, per esempio, avrebbe potuto contribuire alla diffusione del virus, mentre gli abitanti non l’hanno accolta bene e hanno protestato. Alcuni hanno detto che il coprifuoco ha danneggiato l’economia, altri hanno lamentato la difficoltà di reperire provviste così a lungo termine: molti lavoratori infatti sono pagati a giornata e sono in grado di comprarsi il cibo soltanto giorno per giorno.
Nei giorni precedenti al coprifuoco le Nazioni Unite hanno distribuito il corrispettivo di due settimane di provviste – specialmente pacchi di riso e fagioli – in 20 mila abitazioni, concentrandosi soprattutto nelle zone messe in quarantena dai medici. I volontari hanno raccontato di persone che si lamentavano di essere rimaste senza cibo, mentre altre lo rifiutavano per timore che fosse avvelenato. Lo stesso è accaduto in alcuni casi con il sapone consegnato dagli operazioni sanitari, che era visto come un mezzo per diffondere la malattia. Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, da dicembre 2013 l’ebola ha ucciso più di 560 persone in Sierra Leone e più di 2.600 nell’Africa occidentale.