A che punto è Venezia?
Concita De Gregorio sul commissario in carica da giugno, l'inchiesta sul MOSE e il M5S che "si scalda a bordo campo"
Su Repubblica di giovedì 18 settembre, Concita De Gregorio ha raccontato la situazione politica a Venezia, dopo che un’enorme inchiesta intorno ai lavori del MOSE ha portato all’arresto di 35 persone, compreso il sindaco Giorgio Orsoni, che nel frattempo si era dimesso. Dallo scorso giugno la città è amministrata provvisoriamente da un commissario. De Gregorio ha cercato di capire quali potrebbero essere i futuri candidati sia delle primarie all’interno del PD che delle prossime elezioni.
Il sindaco lo hanno arrestato mentre era in carica, nella città più bella e famosa del mondo. È del Pd, anche se il partito si è affrettato a precisare che proprio iscritto non era. Quando Giorgio Orsoni ha vinto, tuttavia, è stato celebrato come se lo fosse. Da quel giorno di giugno nelle stanze dei Dogi c’è un commissario, si chiama Vincenzo Zappalorto fa il prefetto e viene da Gorizia. Un’intera classe politica è stata decapitata, 35 persone agli arresti e siamo – dicono in procura – all’inizio. Nelle sedi dei partiti c’è silenzio. Bisogna trovare un sindaco nuovo, bisogna fare le primarie, non è ancora deciso né come né quando per la semplice ragione che non c’è chi decida: hanno tutti paura. Un paio di nomi sussurrati ci sarebbero: sono Felice Casson e Nicola Pellicani, a domanda precisa hanno risposto qui che sarebbero disposti, sì, ma ad alcune condizioni. Liste civiche avanzano. Vecchi potenti rivendicano gloria.
Il movimento Cinque stelle si scalda a bordo campo. A marzo, se si voterà a marzo, si farà trovare pronto. Lo spettro di Livorno incombe. Massimo Cacciari, filosofo, ex sindaco: «Se va avanti così sei mesi quel che resta del Pd arriva sfibrato, esausto alla meta. E perde». Siamo a Venezia, il mondo intero guarda e non capisce, domanda che succede. “Questa è l’Italia”, ha scritto il New York Times.
Quel che succede a Venezia è, in sintesi estrema, questo: c’era e c’è un sistema corruttivo di geometrica potenza e millimetrica precisione, un’agenzia di assegnazione delle mazzette senza paragone per longevità che per decenni ha preso soldi pubblici destinati a grandi opere e li ha distribuiti a tutti ma proprio a tutti – magistrati e generali della guardia di finanza, politici di ogni latitudine, costruttori, segretarie – in modo che non potessero mai aprir bocca e vivessero felici e contenti. L’agenzia prende il nome di Consorzio Venezia Nuova ed è stata concepita nella metà degli anni 80 da due politici i cui nomi diranno poco ai più giovani, Gianni De Michelis per il Partito socialista e Carlo Bernini per la Dc: erano all’epoca autentici fuoriclasse del ramo. Quasi subito il Consorzio stabilì che fra le grandi opere bisognava fare per prima, senz’altro, il Mose. Si tratta di un’opera monumentale che sulla carta pretende di impedire all’acqua alta di allagare la città, fenomeno foriero di notevoli disagi per chi non vada a sposarsi in gondola ma debba magari entrare in ufficio ogni mattina alle otto. Si è pensato dunque di costruire cassoni grandi come palazzi di sette piani, inabissarli in prossimità delle tre bocche di porto e aprirli all’occorrenza, cosicché il lavoro combinato di aria/acqua impedisca alle correnti di spingere in città la marea. È più complicato di così – scettici in grandissimo numero, in questi trent’anni, sulla possibilità di fermare il mare con tre enormi bicchieri – e assai più costoso di quanto si possa immaginare, ma è per intendersi. Sta di fatto che le uniche correnti che il Mose ha per ora governato sono quelle politiche.