Perché il padre di Renzi è indagato
Tiziano Renzi è indagato per bancarotta fraudolenta: c'entra un'azienda di famiglia, anzi due, e una cessione considerata "troppo vantaggiosa"
Tiziano Renzi, padre del presidente del Consiglio Matteo Renzi, è indagato con altre due persone dalla procura di Genova per bancarotta fraudolenta. Al centro delle indagini c’è la cessione – a un prezzo considerato molto basso – di un ramo sano e produttivo dell’azienda (poi fallita) Chil Post Srl, di cui Tiziano Renzi era amministratore unico, a un’altra società presieduta da Laura Bovoli, moglie di Tiziano Renzi e madre di Matteo. Martedì 16 settembre Tiziano Renzi ha ricevuto l’avviso di garanzia. L’inchiesta di Genova è condotta dal procuratore aggiunto Nicola Piacente e dal pubblico ministero Marco Airoldi.
Per capire l’indagine è necessario ripercorrere la storia dell’azienda. Chil Post (come si chiamava prima di diventare Chil Post srl) si occupava di distribuzione di quotidiani e volantini. Dal 1999 al 2004 fu intestata a Matteo Renzi e alla sorella. Nell’ottobre del 2003 entrambi cedettero le rispettive quote ai genitori. Circa dieci giorni dopo la cessione, Renzi venne assunto come dirigente della stessa azienda e undici giorni dopo l’assunzione si candidò alla presidenza della Provincia di Firenze, venendo eletto il 13 giugno del 2004. A quel punto la Chil gli concesse l’aspettativa. Scrive Repubblica: l’assunzione «gli ha permesso di ottenere il versamento dei contributi. Pagati dall’azienda fino al 2004, quando venne eletto presidente della Provincia, e in seguito dallo Stato come stabilisce la legge per i lavoratori che vanno in aspettativa per ricoprire un incarico politico». La vicenda fu al centro di due interrogazioni comunali a Firenze, ma questa è un’altra storia.
Sempre nel 2003 la Chil Post era stata trasferita dalla Toscana a Genova, prima in via Fieschi, poi in Galleria Mazzini. Nel 2005 aveva lasciato la sede di via Fieschi, dove era in affitto, per un contenzioso con il proprietario dell’immobile e per il mancato pagamento di tre mensilità per 8 mila euro. Con un decreto ingiuntivo venne chiesto alla Chil Post di pagare 11 mila euro. Nel 2006 Tiziano Renzi vendette la sua quota dell’azienda alle figlie; nel 2007 la società arrivò a fatturare 7 milioni di euro e nell’ottobre del 2010 un ramo della stessa azienda, ancora produttivo, quello che faceva riferimento ai «servizi di marketing editoriale», venne ceduto a un’altra società di proprietà della famiglia Renzi (la Chil Promozioni Srl, diventata poi Eventi 6 Srl che operava nello stesso settore e aveva sede a Rignano sull’Arno, in provincia di Firenze) per 3.878,67 euro. Un mese dopo, nel novembre del 2010, le quote rimanenti della Chil Post, ormai svuotata, finirono a un imprenditore genovese (Gian Franco Massone, anche lui indagato). Nel novembre del 2013 la Chil Post fallì non riuscendo a pagare i suoi debiti.
Gli accertamenti giudiziari iniziarono a questo punto: quando nel 2013 il curatore fallimentare dell’azienda segnalò al tribunale di Genova l’incongruità di una compravendita, quella avvenuta nel 2010 tra le due aziende della famiglia Renzi. Scrive Marco Imarisio sul Corriere:
«A farla breve, l’accusa che viene rivolta a Tiziano Renzi è di avere ceduto a se stesso l’unico ramo fruttifero di una società ormai in disarmo, lasciandosi alle spalle una specie di bad company piena di debiti da pagare».
Nel 2011 la Chil Promozioni Srl – che nel bilancio approvato il 30 aprile 2010, l’ultimo prima dell’acquisizione dei «servizi di marketing editoriale», dichiarava un fatturato di 2 milioni e 773 mila euro – infatti si trasforma in Eventi 6 srl, «l’azienda di famiglia da quattro milioni di euro» presieduta da Laura Bovoli, con quote ripartite tra lei e le sue due figlie. Dopo il suo collocamento in aspettativa, Matteo Renzi seguì la nuova azienda come dirigente in aspettativa. Precisa Repubblica: «Tra i debiti trasferiti da una società all’altra e quindi salvati dal crac figura, a pagina 5 dell’atto di cessione, anche la voce “Tfr personale” di Matteo Renzi: 28.326,91 euro».