L’accordo sulla ricostruzione a Gaza
I lavori per riparare i gravi danni dopo due mesi di guerra sono stati affidati all'Autorità Palestinese e ad aziende private, grazie alla mediazione delle Nazioni Unite
L’inviato delle Nazioni Unite per il Medio Oriente, Robert Serry, ha annunciato martedì 16 settembre il raggiungimento di un accordo per la ricostruzione della Striscia di Gaza, territorio che ha subìto grandi danni a causa della guerra tra Hamas e Israele del luglio-agosto scorsi. Israeliani e palestinesi si sono accordati per cominciare immediatamente a importare nella Striscia cemento e altri materiali necessari per la ricostruzione. Serry ha detto che la ricostruzione è stata affidata in buona parte all’Autorità Palestinese, il governo della Palestina che di fatto controlla solo la Cisgiordania, e al settore privato. Le Nazioni Unite svolgeranno un compito di sorveglianza sul materiale importato, controllando che non sia utilizzato a scopi militari.
Serry ha spiegato al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite che l’accordo raggiunto dovrebbe portare a un’intesa più ampia riguardo l’apertura dei confini di Gaza e la fine delle dure limitazioni alle importazioni nel territorio palestinese. Finora le restrizioni al commercio imposte da Israele sulla Striscia di Gaza avevano riguardato anche i materiali di costruzione: il governo israeliano aveva per esempio sostenuto che il cemento potesse essere usato da Hamas per costruire i tunnel sotterranei che dalla Striscia portano in territorio israeliano (gli stessi che Israele ha detto di avere distrutto nella guerra di luglio e agosto).
L’accordo per la ricostruzione ha di fatto lasciato fuori Hamas. L’obiettivo delle Nazioni Unite e di Israele è stato presumibilmente quello di permettere all’Autorità Palestinese di riguadagnare un minimo di controllo del territorio nella Striscia di Gaza, indebolendo al contempo il potere di Hamas. Diversi investitori privati coinvolti nella ricostruzione, inoltre, hanno espresso molte perplessità sul fatto di partecipare al processo nel caso in cui Hamas dovesse continuare a controllare interamente la Striscia di Gaza, rendendo a detta loro più probabile un’altra guerra nell’immediato futuro.
Diversi analisti ed esperti di cose palestinesi hanno scritto che di recente i rapporti tra Hamas e Autorità Palestinese sono progressivamente peggiorati, nonostante la firma lo scorso aprile di un accordo di riconciliazione che aveva messo fine a una divisione durata sette anni. Non è chiaro quale sarà d’ora in avanti la posizione di Hamas nei confronti del processo di pace che dovrebbe riprendere a breve al Cairo, in Egitto, e che dovrebbe affrontare le questioni che ancora non sono state risolte dalla tregua di fine agosto: di fronte agli ultimi sviluppi, Hamas potrebbe infatti decidere di non partecipare ai colloqui all’interno di una “delegazione unificata” palestinese, ovvero che comprenda anche i rappresentanti dell’Autorità Palestinese.
La guerra tra Hamas e Israele è durata dall’8 luglio al 27 agosto. Secondo le cifre diffuse dalle Nazioni Unite – basate per lo più su fonti palestinesi – sono stati uccisi oltre 2.100 palestinesi, tra cui 500 bambini e 250 donne. Da parte israeliana, sono stati uccisi 67 soldati e 6 civili, incluso un bambino. Interi quartieri delle città della Striscia di Gaza sono quasi completamente in rovina: Serry ha detto che circa 18mila case sono state distrutte o gravemente danneggiate. Circa 100mila persone non hanno più una casa: 65mila palestinesi vivono ancora nelle strutture delle Nazioni Unite per i profughi, che sono state anch’esse danneggiate dai bombardamenti. La situazione economica della Striscia di Gaza, intanto, rimane particolarmente grave: l’ultimo rapporto presentato dalla Banca Mondiale dice che metà della popolazione palestinese vive in condizioni di povertà e che l’imprenditoria locale è stata colpita duramente dalle restrizioni sul commercio imposte negli ultimi anni.