Semplificazioni sulla guerra in Ucraina
Barbara Spinelli ha scritto alla Stampa per contestare che nessuno spieghi bene le complessità della guerra nell'Ucraina orientale
Barbara Spinelli, giornalista e commentatrice politica a lungo collaboratrice dei quotidiani Stampa e Repubblica, ha scritto una lettera alla Stampa – dallo scorso maggio ha lasciato le collaborazioni dopo essere stata eletta parlamentare europea della lista Tsipras (in modo un po’ controverso) – per criticare il modo superficiale e schematico con cui i media italiani raccontano la guerra in Ucraina, e le semplificazioni rispetto alla complessità del problema e alle difficoltà di trovargli una soluzione. Benché nell’esposizione di Spinelli si notino delle robuste omissioni sul ruolo della Russia nel creare e aggravare gran parte dei problemi in questione, e un’inclinazione antiucraina sospetta quanto quelle filoucraine che contesta, la richiesta di minori semplificazioni e schematismi su buoni e cattivi suona fondata e argomentata.
Caro direttore,
fin dal marzo scorso, Helmut Schmidt mise in guardia i governi europei e Washington, su Ucraina e Russia: troppo grande era l’«agitazione» occidentale. Troppo pericoloso mimare la riedizione della guerra fredda con Putin, troppo vasta l’ignoranza della storia e di quel che essa dovrebbe insegnare. Ci insegna che si entrò così nella Prima guerra mondiale: barcollando come ubriachi che non vogliono quel che fanno, ma lo fanno lo stesso. E si precipitò nella catastrofe anche quando le guerre furono volute, pianificate: quando Napoleone invase la Russia nel 1811-12, quando Hitler ripeté la spedizione nel 1941.
La terza guerra mondiale che oggi stiamo rischiando nasce dagli stessi vizi: incompetenza, forme di ignoranza militante, scarsa prudenza, infine sterile agitazione.
Lo stato di concitazione cui allude l’ex Cancelliere ha come principale conseguenza la disinformazione su quel che veramente accade sul terreno, e responsabili sono quindi non solo i governi ma, forse in prima linea, la stampa. Mancano autentici reportage sull’Est ucraino (sul Donbass essenzialmente, regione industrial-mineraria a prevalenza russofona; sul pogrom antirusso a Odessa del 2 maggio; sull’aereo abbattuto della Malaysia Airlines); come mancano sul governo di Kiev e come è nato: non da moti di piazza filoeuropei (il famoso Euromaidan fu presto catturato da nazionalisti russofobi). Lo sguardo di giornali e governi è affetto da grave strabismo, mettendosi di fatto al servizio di chi vuole disseppellire la guerra fredda. «Fuck the EU!», disse a febbraio il vice segretario di Stato Victoria Nuland, e i dirigenti europei hanno eseguito, accettando di negoziare il futuro di Kiev con Mosca e anche con Washington, che con l’Ucraina ha poco a che vedere.
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