Berlino e le città di tendenza
Quali sono le città europee considerate “alla moda”? E perché la definizione di "nuova Berlino" potrebbe portare loro un sacco di guai?
Un recente articolo del New York Times si è occupato del notevole successo che Lipsia – uno dei maggiori centri urbani della Sassonia, nell’est della Germania, con circa 530 mila abitanti – sta ultimamente riscuotendo tra i giovani tedeschi e stranieri, dopo essersi guadagnata in qualche modo la reputazione di città “di tendenza” e centro artistico e culturale emergente. Nel giro di pochi anni, il numero di immatricolazioni all’Università di Lipsia – nota per essere stata frequentata, tra gli altri, da personaggi come Goethe, Nietzsche e Angela Merkel – è quasi raddoppiato, benché il numero di residenti nell’ex Germania dell’Est sia di fatto diminuito.
Negli ultimi mesi, diversi giornalisti hanno tentato di spiegare il “caso di Lipsia”: si sono chiesti quali siano i parametri che contribuiscono a definire una città interessante (“cool”) al punto da generare un aumento considerevole di residenti e turisti, e un’alterazione significativa del mercato immobiliare. Altri si sono chiesti se diventare “cool” sia una cosa positiva per una città: per esempio, quali sono le conseguenze una volta terminate curiosità e attenzione da parte del pubblico?
Da tempo si parla di Lipsia come la “nuova Berlino”, sebbene il sindaco Burkhard Jung abbia detto lapidariamente al New York Times: «Noi non siamo Berlino, noi siamo Lipsia». Secondo i berlinesi, il caso di Lipsia è stato fortemente sovrastimato: molti di loro ritengono che Lipsia sia una città troppo cara, inflazionata, investita da un interesse destinato a diminuire rapidamente. Fino all’inizio degli anni Novanta, Lipsia era considerata una città sostanzialmente povera, oltre che maleodorante a causa delle grandi quantità di anidride solforosa prodotta dalle molte fabbriche presenti in città. Dopo la caduta del Muro di Berlino, diverse famiglie si trasferirono in altre parti della Germania e Lipsia entrò in un fase di declino che terminò solo negli anni Duemila, dopo che due note aziende automobilistiche – Porsche e BMW – aprirono lì alcuni stabilimenti.
Uno dei principali motivi che attrae nuovi residenti a Lipsia sta nella convenienza degli affitti (una media di cinque euro al mese per metro quadrato). Molti si accontentano di vivere a buon mercato in fabbricati fatiscenti degli anni Sessanta e Settanta, costruiti secondo l’architettura tipica degli edifici della Germania dell’Est. La popolarità di Lipsia come città “alla moda” ha cominciato a crescere dopo un articolo del New York Times del 2010: in occasione del 325esimo anniversario della nascita di Johann Sebastian Bach, che visse a Lipsia dal 1723 fino alla morte, nel 1750, l’autorevole giornale americano la inserì in una lista dei 31 “posti da visitare”. Lipsia fu descritta come città e centro culturale e artistico in rapida espansione. Da quel momento in poi diversi giornali tedeschi cominciarono a dedicarle sempre più attenzione: un articolo dello Spiegel, più espressamente dedicato alle attività notturne, definì sinteticamente Lipsia con il titolo “Berlino, ma meglio”, in un periodo in cui Berlino veniva continuamente citata da diverse riviste internazionali come un termine di paragone per nuove città in espansione e “alla moda”.
In tempi recenti il titolo di “nuova Berlino” – secondo un lungo e interessante articolo su New Republic – è stato variamente assegnato a città come Cracovia (Polonia), Vilnius (Lituania), Belgrado (Serbia), Tallinn (Estonia) e Varsavia (Polonia). Tutte hanno in comune, in gradi differenti, molte delle cose che hanno reso famosa Berlino negli anni Novanta: la convenienza, la scena artistica in crescita, e molti edifici vuoti che possono essere valorizzati e rivalutati. Ma a differenza di Berlino, scrive New Republic, queste città non avranno il tempo e la possibilità di sviluppare lentamente la propria reputazione, dato che il grande interesse suscitato potrebbe finire per danneggiarle dopo averle brevemente arricchite.
Già nota fin dagli anni Settanta come città all’avanguardia, dopo la caduta del muro la città di Berlino ha costruito una parte consistente della propria popolarità e reputazione tra i giovani attraverso soprattutto la sua musica techno suonata nelle fabbriche e nei grandi magazzini abbandonati. Negli anni Novanta fu definita “capitale notturna d’Europa”, mentre negli anni Duemila il sindaco Klaus Wowereit avviò una serie di politiche specifiche per dare a Berlino un’immagine più completa e “attraente”. In un’intervista nel 2004, Wowereit disse di voler mettere il turismo tra le priorità del suo mandato. Da allora il numero di pernottamenti a Berlino è cresciuto dai 13 milioni del 2004 al record di 27 milioni nel 2013, al punto che le autorità hanno cominciato a diffondere una serie di regole di buon comportamento per i turisti.
Secondo New Republic, questo modo di parlare delle grandi città – “alla moda”, “di tendenza”, o anche, al contrario, “finita” – è in parte “il risultato del proliferare di riforme neo-liberali che negli ultimi due decenni hanno avuto un effetto deleterio sul modo in cui pensiamo alla città”. Jamie Peck, docente di geografia all’Università della Columbia Britannica, in Canada, ha spiegato che dagli anni Ottanta in poi i governi hanno cominciato a puntare moltissimo sulle città, cercando di attrarre investimenti e lavoro. Il punto, spiega Peck, è che non tutte queste città hanno effettivamente le potenzialità economiche, artistiche e culturali per resistere a questo tipo di competizione. Scrive New Republic:
Questo vuol dire che scrittori ed editori di pubblicazioni di questo genere devono spesso cercare e mettere insieme diverse piccole novità – per esempio nuovi locali, o nuove band musicali locali, o un nuovo teatro – per realizzare una narrazione più ampia riguardo la rinascita “creativa” di una determinata città; dopodiché confezionano una città come la nuova versione di un’altra città ormai démodé. Nel decennio scorso, Montreal, Portland e Detroit sono tutte state la “nuova Seattle”, Austin è stata la “nuova Portland”, e Minneapolis è stata la “nuova Austin”. Persino Berlino a un certo punto è stata pubblicizzata come “la prossima Silicon Valley”.
Secondo Peck, questo tipo di copertura mediatica non soltanto alimenta una sorta di “industria delle classifiche”, mettendo le città l’una contro l’altra, ma soprattutto attrae gli speculatori immobiliari, e insieme a loro un genere di “nuovi turisti” anche noti come “post-turisti”: si tratta di persone che non vengono in queste città soltanto per alcuni giorni, per visitare musei o monumenti, ma che arrivano con l’intenzione di fermarsi per un periodo di tempo più lungo.
Secondo Johannes Novy, urbanista che ha studiato gli effetti del turismo a Berlino, il “nuovo turismo” è stato incentivato dalla mobilità del lavoro e dai confini ormai molto più incerti tra lavoro e tempo libero. «Se lavori sul tuo laptop da Milwaukee, per esempio, cosa ti impedisce di fermarti un paio di mesi a Lipsia e lavorare da lì?». A proposito di Neukoelln, un quartiere periferico in rapida espansione nel sud est di Berlino, Novy sottolinea che i “turisti” che si vedono da quelle parti sono completamente diversi da quelli che girano a Roma o a Parigi. Si tratta di persone a metà tra turisti e residenti: sono un’occasione di potenziale crescita culturale per la città, e una notevole fonte di guadagno per agenti immobiliari e utenti di Airbnb (il servizio online che permette di affittare o subaffittare la propria casa). Il conseguente aumento dei prezzi degli affitti, spiega Novy, crea però dei notevoli squilibri. È successo nel caso di Berlino, una città in cui storicamente non sono molto sviluppati altri settori come ad esempio quello finanziario.
Come spiegato in un articolo del New Yorker, la liberalizzazione delle regole di acquisto ha causato in tempi recenti un aumento significativo degli investimenti di capitale nei mercati emergenti, soprattutto nel settore immobiliare. Quartieri come Neukoelln sono letteralmente stati presi d’assalto da investitori irlandesi, norvegesi e statunitensi, che hanno acquistato migliaia di appartamenti sperando di ricavarne grandi guadagni tramite il mercato degli affitti. E questa tendenza è aumentata in seguito alla crisi dell’euro nel 2008, che ha di fatto reso gli investimenti immobiliari una delle forme di investimento più sicuro in Europa. Secondo Peck, una delle conseguenze più negative di questa tendenza è che a un certo punto si perde qualsiasi contatto tra questo mercato indipendente degli investimenti immobiliari e le attività culturali che alimentano la competizione tra città per risultare “alla moda”. “Più aumenta la disparità tra il reddito di una città e il prezzo pagato dagli acquirenti immobiliari internazionali, più gli abitanti di quella città diventano parte di un’economia al servizio degli stranieri benestanti”, sostiene Peck.
Berlino è ancora sufficientemente grande – e, nonostante tutto, ancora sufficientemente conveniente – da poter restare ancora una città interessante e alla moda nell’immediato futuro, dice New Republic, ma città come Lipsia e Cracovia potrebbero non essere in grado di reggere le pressioni derivanti da queste brusche alterazioni del mercato, in cui il costo degli affitti continua a crescere ma i salari no.