L’epidemia di ebola peggiora
L'OMS prevede migliaia di nuovi casi nelle prossime tre settimane, mentre in diversi paesi africani mancano posti letto in ospedale e anche operatori sanitari
Dallo scorso marzo l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) e altre istituzioni sanitarie stimano che almeno 3.600 persone abbiano contratto il virus ebola, soprattutto nell’Africa Occidentale e in paesi come Guinea, Liberia, Nigeria e Sierra Leone, dove si è registrato il numero più alto di casi. Circa la metà di queste persone sono morte ma è praticamente impossibile stabilire con certezza il numero esatto dei decessi, anche perché gran parte dei malati non è ricoverata in un ospedale o in una clinica e non rientra dunque in un bilancio ufficiale. Al momento sono disponibili poche centinaia di posti, molto al di sotto di quelli che sarebbero necessari e i luoghi di ricovero sono sovraffollati. La carenza è così grave, spiega il Wall Street Journal, che le ambulanze a Monrovia (capitale della Liberia) raccolgono quotidianamente persone che presentano i sintomi del virus, li trasportano per ore alla ricerca di un posto letto e sono poi costrette a riportarle nelle loro case. L’OMS ha detto lunedì che la diffusione del virus in Liberia sta crescendo esponenzialmente, e che nelle prossime tre settimane sono previsti migliaia di nuovi casi. L’OMS ha anche detto che i metodi convenzionali utilizzati per controllare l’epidemia non hanno avuto «un impatto adeguato», e che le organizzazioni che lavorano per combattere la diffusione del virus devono aumentare gli sforzi impiegati «da tre a quattro volte».
Le probabilità di sopravvivere senza cure adeguate sono molto basse. La questione della mancanza di posti letto sta anche diventando una delle cause principali della diffusione del contagio. Per le strade delle città più colpite si vedono taxi e carretti che trasportano i malati verso i centri di ricovero ma sono diventati a loro volta dei “trasportatori” del virus che si diffonde attraverso il contatto con i fluidi corporei: se una persona sana venisse insomma a contatto con il sudore lasciato da un passeggero affetto da Ebola sul sedile del taxi, contrarrebbe a sua volta la malattia.
Diverse organizzazioni che operano in Guinea, Liberia, Nigeria e Sierra Leone – tra cui Medici Senza Frontiere – hanno chiesto ai paesi dell’Europa e agli Stati Uniti di impegnarsi di più per aiutare ad affrontare l’epidemia. Alcuni governi hanno cominciato a rispondere: venerdì scorso l’Unione Europea ha annunciato uno stanziamento di 140 milioni di euro, di cui 38 per sostenere i servizi sanitari; gli Stati Uniti hanno promesso una serie di aiuti che prevedono anche la costruzione di 10 nuovi centri di cura con 100 posti letto ciascuno. Il problema è però anche rappresentato dalla mancanza di personale e dalla formazione di nuovi infermieri: secondo l’OMS ci vogliono tra i 200 e 250 operatori sanitari per trattare 80 pazienti. L’USAID, l’Agenzia statunitense per lo sviluppo internazionale, sta cercando di reclutare e formare nuovi medici e operatori sanitari: il programma avrà però inizio solo a fine settembre. Nel frattempo sta distribuendo ai malati che non riescono a trovare un letto libero un kit di trattamento da utilizzare a casa che comprende disinfettanti e guanti monouso in lattice.
Intanto il Consiglio esecutivo dell’Unione africana si è riunito in un incontro di emergenza ad Addis Abeba per discutere una strategia comune contro la diffusione della malattia. Il Consiglio ha anche discusso la questione della sospensione dei voli dai paesi colpiti e la chiusura delle frontiere, chiedendo che tutti i divieti che limitano gli spostamenti da un paese all’altro siano rimossi, soprattutto per evitare ulteriori danni all’economia della zona. Venerdì 5 settembre il governo della Sierra Leone ha già annunciato un’altra decisione piuttosto drastica per arginare l’epidemia: tutti gli abitanti del paese, ha detto il governo, non potranno uscire di casa per quattro giorni a partire da giovedì 18 settembre.
Sempre venerdì scorso, l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha annunciato che due vaccini potenzialmente efficaci potrebbero essere disponibili in Africa Occidentale all’inizio di novembre, e saranno innanzitutto somministrati agli operatori sanitari, ossia le persone maggiormente esposte al rischio di contagio del virus. I due nuovi vaccini non sono ancora stati sperimentati sugli esseri umani ma nei prossimi giorni – bypassando i normali protocolli per casi del genere, ha detto l’OMS – saranno condotti i primi test su alcuni volontari per verificarne la sicurezza e per controllare le reazioni del sistema immunitario: se i risultati di questi test saranno ritenuti soddisfacenti, i vaccini saranno subito somministrati agli operatori sanitari in Africa Occidentale. Uno di questi vaccini è stato sviluppato nei laboratori dell’Irbm Science Park di Pomezia, vicino a Roma, da un gruppo di ricercatori italiani e americani. I dettagli della ricerca sono stati pubblicati su Nature domenica 7 settembre: si basa su un adenovirus (un virus che negli uomini causa raffreddori e congiuntiviti) derivato dagli scimpanzè. L’OMS ha anche annunciato che saranno condotti dei test sul farmaco sperimentale “ZMapp” utilizzato nei mesi scorsi su sette persone infettate da ebola: tre dei pazienti sono ancora in trattamento, due sono guariti e due sono morti, ma questi casi non sono stati considerati rappresentativi perché limitati e troppo diversi l’uno dall’altro.
Il virus ebola – che causa febbre, vomito, disturbi intestinali e nei casi più gravi emorragie interne – ha un tasso di mortalità molto alto, tra il 50 e l’89 per cento, a seconda del ceppo virale e della salute dell’organismo che prova a infettare. Il tipo che si è diffuso in questi mesi nell’Africa occidentale è lo “Zaïre ebolavirus” (ZEBOV) e ha il più alto tasso di mortalità.