Cos’è “Destiny”
Domani sarà in vendita il videogioco più atteso dell'anno nonché il più costoso di sempre: una specie di sparatutto interstellare da giocare principalmente online
A partire da martedì 9 settembre sarà in vendita in tutto il mondo Destiny, uno dei videogiochi più attesi degli ultimi anni, disponibile per Playstation e per Xbox, le consolle di gioco più diffuse al mondo. È stato sviluppato dallo studio Bungie, che sta a Bellevue, nello stato di Washington: è lo studio che produsse Halo, uno dei videogiochi più popolari di sempre. Tecnicamente Destiny è uno sparatutto in prima persona, genere fantascienza, ambientato in diversi pianeti del sistema solare, che avrà il suo punto di forza nel gioco online.
A giugno Matteo Bordone è stato all’E3 a Los Angeles, la fiera dei videogiochi più importante al mondo, dove fu presentata la versione alpha del gioco, e anche a Seattle, dove ha parlato con il direttore Pete Parsons: ne ha scritto in un lungo articolo su Wired, in cui parla estesamente dei temi affrontati dal gioco e dei riferimenti iconografici, e delle ambizioni dello studio di produzione. Destiny sarà pubblicato dall’azienda di videogiochi Activision, che ha investito più di 500 milioni di dollari: “è il videogioco più costoso di tutti i tempi”.
Giugno, Los Angeles. Alle otto di mattina, nella hall del Mondrian Hotel sul Sunset Boulevard sono tutti bellissimi, già svegli da tempo, gambe flessuose e addominali scolpiti, aria di chi le cose quando le vuole se le prende: ti passano davanti, attraversano il decoro minimale dell’ambiente ed escono. In un angolo della sala c’è Pete Parsons che parla al telefono, molto concentrato, smacchinando con la posta sull’iPad. Faccio per salutarlo ma non alza nemmeno la testa. Questo pomeriggio la stampa vedrà all’E3, la fiera videoludica più importante al mondo, l’alpha di Destiny, cioè la versione provvisoria del progetto cui Bungie, lo studio che Pete dirige, lavora da parecchi anni. È il primo vero momento di giudizio collettivo, non di pubblico ma di addetti ai lavori, di un prodotto attesissimo a pochi mesi dall’uscita.
Dopo avere realizzato la serie Halo per conto di Microsoft, cioè uno dei due titoli insieme a Tomb Raider a finire nei telegiornali il giorno di ogni uscita, Bungie ha intrapreso un’avventura di almeno dieci anni negli spazi aperti del Sistema Solare: è questa la durata del contratto con Activision per realizzare e tenere in vita un universo persistente di vastità e complessità inaudite, un grande gioco online come non se ne sono mai visti misto a un bellico in prima persona, il tutto fluido e accessibile per il grande pubblico. L’investimento economico di Activision supera i 500 milioni di dollari. Destiny è il videogioco più costoso di tutti i tempi.
Due mesi prima, Seattle. La sede di Bungie è a Bellevue, sobborgo in grande espansione a est della città, molto apprezzato per lo shopping. Il mall immenso e luminosissimo la mattina è popolato dalle milf con passeggino di ordinanza. Il commesso del punto vendita Tesla Motors cerca di coinvolgerle, forse per promuovere la mobilità elettrica, forse per altri fini. I loro mariti potrebbero serenamente essere gli acquirenti perfetti per un’automobile del genere, perché Seattle è la business city per eccellenza: nell’area ci sono Boeing, Microsoft, Amazon, Starbucks, T-Mobile, Expedia e molti altri. Tra azionisti, CEO e dirigenti, la città ha una densità di ricchi tra le più alte del Nord America.
L’edificio in cui sorge la sede di Bungie prima era un cinema con annesso bowling; lo spazio è enorme, aperto, con soffitti altissimi e grandi vetrate. Le scrivanie hanno le ruote: a seconda delle necessità, si creano nuclei di lavoro nel giro di mezz’ora spostando le persone con i loro computer dove serve. «Io non ho nemmeno un ufficio», mi dice orgoglioso Pete. Questo di non avere un ufficio è forse in parte un vezzo, ma è un tratto distintivo di alcuni nuovi capi di enormi aziende legate al digitale. Anche Reed Hastings di Netflix si vanta di non averlo, sostenendo che muoversi e non aspettare che le persone vengano da te è fondamentale. Altro elemento insolito: il primo posto che Pete mi porta a vedere è l’IT.
In qualsiasi ufficio in cui ci siano dei computer, e qui ce ne sono tanti, quelli dell’IT sono la destinazione di disistima, barzellette, frustrazione e insulti (la serie inglese di qualche anno fa The IT Crowd lo dimostra perfettamente). Ma qui non va così, almeno non ufficialmente. «Questa squadra gestisce centinaia di richieste tecniche al giorno. Senza di loro non potremmo fare niente di quello che facciamo», mi dice Pete mentre salutiamo il manipolo di nerd che rispondono alle esigenze dei circa 500 dipendenti dello studio. In fondo allo spazio dei tecnici c’è una porta. Dopo una piccola pausa cinematografica, Pete la apre con una soddisfazione visibile sul volto, e mi invita a entrare.
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