Quelli che non vogliono il Dalai Lama
Era considerato un ospite di riguardo per i governi di tutto il mondo, ma da qualche anno - per le pressioni cinesi - in molti si rifiutano di incontrarlo (anche in Italia)
Questa settimana il portavoce del Dalai Lama, l’autorità suprema dei buddisti tibetani, ha annunciato che il governo del Sudafrica gli ha negato un visto per consentirgli di partecipare alla conferenza mondiale dei premi Nobel per la pace che si terrà a Città del Capo a ottobre. Secondo l’agenzia di stampa Reuters è la terza volta in cinque anni che il Sudafrica nega un visto al Dalai Lama. Non si tratta dell’unico paese ad avere un rapporto difficile con l’autorità suprema dei buddisti tibetani. Secondo diversi analisti, negli ultimi anni ospitare il Dalai Lama è divenuto un imbarazzo per molti governo del mondo, a causa delle pressioni diplomatiche ed economiche del governo cinese.
Il governo sudafricano ha negato di aver bloccato il visto e ha detto che la pratica stava seguendo le normali procedure. Ma quando al portavoce del ministero degli Esteri cinese è stato chiesto un commento sulla vicenda, la sua risposta è stata molto esplicita: «Apprezziamo molto il rispetto che il governo del Sudafrica ha dimostrato per la sovranità e l’integrità territoriale della Cina e per il sostegno che dà al nostro governo su questa questione». La Cina considera il Dalai Lama un leader separatista: il Tibet fa parte della Cina, dagli anni Cinquanta, dopo che fu di fatto conquistato e annesso al territorio cinese. Molti tibetani, tuttavia, non riconoscono l’attuale status quo: nel corso degli ultimi decenni in diversi hanno abbandonato il paese o hanno organizzato proteste contro il governo cinese. Fino al 2011 il Dalai Lama è stato il capo del governo tibetano in esilio, nel nord dell’India. Il governo cinese cerca di tenere sotto controllo la regione osteggiando i viaggi internazionali del Dalai Lama e reprimendo duramente il dissenso dei tibetani. Inoltre rivendica il diritto di poter nominare il prossimo Dalai Lama dopo la morte dell’attuale, Tenzin Gyatso.
Come ha raccontato la rivista Foreign Policy, fino a dieci anni fa il Dalai Lama – premio Nobel per la pace nel 1989 – era considerato un ospite di riguardo. Con il passare degli anni, però, il potere economico della Cina è cresciuto e di pari passo sono cresciute anche le sue pressioni diplomatiche affinché il Tibet e il Dalai Lama non ricevessero alcuna forma di riconoscimento diretto o indiretto. Il Sudafrica è soltanto l’esempio più evidente, visti i suoi numerosi legami economici con la Cina, ma non è l’unico.
Il GlobalPost ha raccolto alcuni degli episodi più recenti in cui i leader di paesi occidentali hanno mostrato imbarazzo nel trattare con il Dalai Lama. È successo anche a paesi insospettabili, come il Regno Unito, che nella sua storia ha sempre mostrato una forte indipendenza dai condizionamenti in politica estera: nel maggio del 2013, per esempio, il primo ministro David Cameron aveva ricevuto ufficialmente il Dalai Lama anche se apertamente osteggiato dal governo cinese. In risposta all’incontro, la Cina aveva interrotto i rapporti con il Regno Unito, che erano ripresi soltanto dopo l’assicurazione del governo inglese di trattare la questione tibetana «con rispetto per le preoccupazioni cinesi».
L’anno successivo è stata la volta del governo norvegese. Nel maggio del 2014 la Norvegia ha concesso al Dalai Lama di visitare il paese, ma il governo si è rifiutato di incontrarlo, dicendo apertamente che se lo avesse incontrato ci sarebbero state ripercussioni diplomatiche da parte della Cina. Nel 2010 era accaduto lo stesso in Danimarca e nel 2012 in Italia. All’epoca il Dalai Lama visitò l’Italia senza incontrare esponenti del governo. Il sindaco di Milano, Giuliano Pisapia, propose di conferirgli la cittadinanza onoraria, ma la delibera venne bocciata in consiglio comunale in seguito alle proteste del consolato cinese.