Orfini contro D’Alema
L’attuale presidente del Partito Democratico, Matteo Orfini, è stato a lungo definito nella sua carriera politica da un legame di straordinaria fedeltà e consonanza nei confronti di Massimo D’Alema, ex leader del PCI e dei DS ed ex presidente del Consiglio di cui Orfini fu stretto collaboratore e portavoce: tra gli addetti ai lavori della politica veniva notata persino una somiglianza nel modo di parlare e di comportarsi, tra i due. Ma dall’inizio della crisi del PD culminata nell’elezione a segretario di Matteo Renzi, Orfini ha costruito posizioni e ruoli più autonomi e in un’intervista di oggi a Repubblica Orfini dissente esplicitamente dalle ultime critiche di D’Alema a Renzi.
Non condivido l’opinione di D’Alema. Per la prima volta si è messa in campo una politica di redistribuzione della ricchezza con l’operazione degli 80 euro; si cerca di dare una soluzione al problema della precarietà nella scuola; si assume l’impegno ad estendere i diritti come la maternità e la malattia ai lavoratori che non li hanno riconosciuti. Non è poco. Soprattutto se si guarda alla subalternità alla destra dei precedenti governi di centrosinistra».
Il Pd si è trasformato in un partito dove c’è il culto della personalità del leader? Non la preoccupa?
«Basta fare una breve ricerca d’archivio per vedere che a Renzi ne ho dette di tutti i colori, e tanti altri con me: è la dimostrazione che non c’è alcun culto della personalità nel Pd. Abbiamo fatto un congresso, che è finito. Renzi è il segretario democratico e il premier; in campo c’è un gruppo dirigente rinnovato, emerso non per cooptazione ma nel fuoco della battaglia politica. Siamo un gruppo dirigente plurale ma che sta facendo lo sforzo di tenere insieme il Pd e rafforzare l’azione di governo».
D’Alema è in pratica il passato rottamato?
«Ha espresso una legittima opinione, ha chiesto si discuta di più nel Pd e avrà occasione
di farlo»
Secondo lei c’è rimasto male per non essere diventato Mister Pesc?
«Non credo che la sua valutazione politica sia frutto di rancore».