Le confische di Israele in Cisgiordania
Anche John Kerry ha protestato contro il progetto di nuovi insediamenti e l'esproprio di terre palestinesi, annunciati subito dopo gli accordi che hanno sospeso l'invasione di Gaza
Domenica scorsa l’amministrazione civile israeliana in Cisgiordania ha dichiarato che circa 400 ettari a sud di Betlemme sono diventati “terreno di Stato”, definizione che, secondo la legge israeliana, permette la costruzione nella zona di nuovi insediamenti. L’annuncio è arrivato dopo meno di una settimana dall’accordo sulla fine dei combattimenti nella Striscia di Gaza, durati sette settimane. Israele ha proceduto alla confisca malgrado le richieste palestinesi di fermare le espansioni ed è stata criticata, tra gli altri, dalla Gran Bretagna, dalla Francia, ma anche dagli Stati Uniti, principali alleati di Israele. I toni e la forza della dichiarazione USA contro le nuove confische israeliane sono stati definiti «insoliti» da diversi commentatori.
Lo stesso Segretario di Stato americano John Kerry ha chiamato il primo ministro israeliano Netanyahu al telefono, mercoledì mattina, per protestare. Per gli Stati Uniti l’esproprio delle nuove terre è «controproducente» e martedì, la portavoce del Dipartimento di Stato USA Jen Psaki aveva detto: «Siamo profondamente preoccupati. Chiediamo al governo di Israele di modificare questa decisione». Nabil Abu Rudeina, portavoce del presidente palestinese Mahmoud Abbas, aveva detto: «Questa scelta porta a un ulteriore deterioramento della situazione e deve essere bloccata». Peace Now, un gruppo israeliano che si oppone alla costruzione di insediamenti in Cisgiordania, ha poi spiegato che la confisca è la prova che il primo ministro israeliano, Benjamin Netanyahu «non aspira a un nuovo orizzonte diplomatico, ma al contrario continua a porre ostacoli alla visione dei due Stati e promuove la soluzione di un solo Stato».
La soluzione dei “due popoli-due Stati” è ancora la posizione ufficiale di entrambe le parti oltre che di tutti i negoziatori che si sono succeduti nel tempo per provare a trovare una soluzione al conflitto tra Israele e Palestina. Il riferimento da cui si parte sono i cosiddetti confini del ’67. Nel 1967, con la Guerra dei Sei Giorni, Israele si trasformò a tutti gli effetti in una forza occupante e invase l’attuale Cisgiordania (e cioè il territorio sulla riva occidentale del fiume Giordano), oltre a Gaza, il Golan e il Sinai.
Oggi in Cisgiordania ci sono tre diverse aree di amministrazione, ereditate dagli Accordi di Oslo del 1993 e del 1995. Ci sono alcune zone, intorno alle città principali, che sono controllate civilmente e militarmente dai Palestinesi (in arancione sulla mappa, zona A), alcune che sono civilmente gestite dai palestinesi ma controllate militarmente dagli israeliani (in verde sulla mappa, zona B), e alcune che sono sia civilmente che militarmente gestite dagli israeliani (in bianco sulla mappa, zona C). Nonostante gli accordi e nonostante l’annessione non fosse stata riconosciuta dalle Nazioni Unite, Israele ha continuato a permettere e costruire sempre più insediamenti anche nelle zone che non erano di sua “competenza” (una mappa interattiva degli insediamenti si può vedere qui).
Le motivazioni delle nuove confische non sono state spiegate ufficialmente dalle autorità di Israele ma in molti le considerarano una rappresaglia per il sequestro e l’uccisione di tre giovani israeliani avvenuta in quella stessa zona nel giugno scorso; gli omicidi, compiuti da militanti di Hamas all’insaputa dei leader dell’organizzazione, avevano portato all’invasione israeliana della Striscia di Gaza durata sette settimane e che si stima abbia causato la morte di 2.138 persone tra miliziani di Hamas e civili, con decine di bambini e donne tra i morti e di 64 soldati e 3 civili israeliani. Lo scorso 26 agosto, e dopo lunghe trattative condotte dal governo egiziano, Israele e Hamas avevano raggiunto una nuova tregua, definita di “lungo periodo”.
Generalmente la confisca di nuovi territori viene spiegata da Israele con il fatto che i palestinesi non stanno sfruttando quella terra, che non ci sono prove della proprietà e che di quella terra Israele ha bisogno per ospitare una popolazione in crescita. I territori confiscati domenica scorsa si trovano nel blocco di colonie di Gush Etzion, che Israele ha detto di voler mantenere in qualsiasi accordo di pace che verrà sottoscritto con i palestinesi.
L’accordo che ha sospeso i combattimenti a Gaza prevede, oltre alla cessazione degli attacchi armati: un allentamento dell’attuale embargo israeliano nei confronti della Striscia di Gaza, con l’apertura di alcuni punti di passaggio lungo il confine per permettere alla popolazione di ottenere più facilmente cibo, medicinali e i materiali necessari per la ricostruzione; la possibilità per l’Autorità Palestinese di ottenere progressivamente il controllo dei confini della Striscia di Gaza, ora per lo più gestiti da Israele; l’affidamento della gestione della ricostruzione nella Striscia di Gaza all’Autorità Palestinese; lo spostamento da 3 a 6 miglia dalla costa del confine entro il quale è consentita la pesca alle barche e navi della Striscia di Gaza, con la possibilità di ulteriori estensioni in futuro.
Foto: Efrat, insediamento israeliano (AHMAD GHARABLI/AFP/Getty Images)