Lo Stato Islamico e i nuovi media
La nuova qualità dei video e della comunicazione che l'organizzazione terroristica usa per farsi propaganda in occidente: altro che i VHS di bin Laden
Da un mese circola online un video di reclutamento dello Stato Islamico (IS), l’organizzazione terroristica che ha di recente occupato parti del territorio di Iraq e Siria: il video è di ottima qualità in termini di immagini e sceneggiatura ed è rivolto a potenziali nuovi combattenti dell’IS provenienti dai paesi stranieri, compresi quelli occidentali, con un messaggio molto evocativo e cinematografico. Il video, in inglese, è disponibile anche con i sottotitoli in una decina di lingue e dimostra l’interesse dello Stato Islamico nell’estendere a tutti i paesi occidentali il reclutamento per le sue milizie. Nei giorni scorsi il sito del Foglio ne ha mostrato una versione sottotitolata in italiano, senza citarne la provenienza ma sostenendo che si tratti di un’estensione all’Italia della stessa propaganda.
Come ha notato sul Foglio Daniele Raineri, con moltissimi altri giornalisti nelle ultime settimane, il video è stato realizzato in maniera professionale. Il protagonista è Andre Poulin, un ragazzo canadese convertito all’Islam nel 2008 e morto nel 2013 in Siria, dopo essersi arruolato nello Stato Islamico. Nel video Poulin spiega di non essere un emarginato sociale che ha scelto di arruolarsi per disperazione. Si presenta come un ragazzo normale che è stato “toccato” dalla conversione all’Islam. Le immagini di Poulin si alternano con immagini della vita in Canada, grandi panorami e scene di battaglie (ma senza sangue o altri particolari cruenti: il video è evidentemente destinato a un pubblico molto esteso). Il filmato si conclude con le immagini della morte di Poulin. Il montaggio delle varie parti del filmato è stato fatto in maniera accurata, così come il missaggio dell’audio, con la musica che si abbassa quando Poulin parla e si alza nei momenti più intensi. Persino la confezione con cui il video è presentato sui siti dello Stato Islamico è così curata da sembrare il promo di una serie televisiva di un canale televisivo americano.
Della capacità dello Stato Islamico di fare vere e proprie campagne di marketing con criteri moderni e professionali si era già parlato in occasione del video dell’uccisione del giornalista americano James Foley, realizzato con tanta cura da spingere alcuni a sostenere che fosse falso. Ma la capacità di fare propaganda dello Stato Islamico è ancora più impressionante se messa a confronto con quello che sono riusciti a realizzare i movimenti simili e concorrenti. Negli ultimi anni le varie formazioni di ribelli siriani, come ad esempio al Nusra, affiliata ad al Qaida, hanno prodotto moltissimi video, in genere sgranati, con un audio di bassa qualità e alcuni modesti e anacronistici effetti grafici. La strategia di al Qaida ai tempi di Osama bin Laden era ancora più primitiva. I video con cui bin Laden comunicava messaggi erano consegnati in videocassette VHS ad Al Jazeera, oppure registrati su qualche supporto audio e fatti circolare tra i militanti. Spesso erano girati con una sola telecamera e con un audio di bassa qualità. Bin Laden o gli altri leader parlavano a lungo, in un arabo molto formale, guardando fissi in camera.
Ma c’è anche un’altra differenza tra lo Stato Islamico e al Qaida, questa volta nei contenuti. Bin Laden e i suoi successori hanno sempre sottolineato la necessità di colpire gli Stati Uniti e gli altri paesi occidentali sul loro territorio, un tema che è quasi completamente assente nella propaganda dell’IS. Nei video, come quello dove compare Poulin, viene ricordata la necessità di difendere e ingrandire lo Stato Islamico. Attaccare i nemici della fede nei loro paesi è un obbiettivo che si potrà perseguire soltanto dopo che i musulmani avranno ottenuto la liberazione dei “loro” paesi.
Questo tema si può vedere con molta chiarezza in un altro prodotto della propaganda dell’IS: Dabiq, un vero e proprio giornale in lingua inglese (qui potete leggere l’ultimo numero). Dabiq è impaginato come una rivista patinata che si compra in edicola, con molte foto (alcune delle quali realizzate in maniera professionale), lunghi articoli e titoli come “La schiavitù dei tempi moderni”, in cui si spiega come lo stipendio e gli orari fissi di lavoro a cui sono sottoposti i musulmani nel mondo occidentale siano una nuova forma di schiavitù. Sono contenuti su misura per un pubblico di musulmani che vivono in Europa e negli Stati Uniti. Come nel video in cui compare Poulin, i contenuti troppo forti sono accuratamente evitati e anche il linguaggio è meno violento rispetto alla versioni in arabo degli stessi video e degli stessi testi. Per reclutare i musulmani dei paesi più vicini a Siria ed Iraq, lo Stato Islamico non risparmia sui video di decapitazioni o sulle immagini che mostrano file su file di prigionieri giustiziati con un colpo alla testa.
Il New York Times ha dedicato un lungo articolo all’utilizzo dei media da parte dello Stato Islamico. Il suo, scrive il New York Times, “è un jihad 3.0”.
Se il suo fanatismo bigotto e le decapitazioni sembrano arrivare da un secolo lontano, il suo uso dei media è attualissimo.
Il che significa anche la capacità di rimpiazzare velocemente gli account Twitter e le pagine Facebook che vengono chiuse. Lo Stato Islamico usa spesso siti come JustPaste o SoundClound, dove rimuovere contenuti è molto più difficile. Oppure WhatsApp, per le comunicazioni dirette, mentre su siti come Ask.fm alcuni miliziani hanno tenuto sessioni di “domande e risposte” con le persone interessate alla loro attività. Secondo gli esperti intervistati dal giornale, l’utilizzo professionale dei nuovi media da parte dello Stato Islamico è un altro aspetto dell’immagine “vincente” che il gruppo cerca di proiettare all’esterno. Per anni bin Laden ha reclutato affilati sostenendo di voler rifondare il califfato islamico in un futuro più o meno vicino. Lo Stato Islamico sostiene di esserci già riuscito e dalla sua parte ha moltissime vittorie contro l’esercito iracheno e quello siriano per dimostrare il suo successo.
Lo Stato Islamico è meticoloso nel citare i propri successi e pubblica “statistiche” che riportano i nomi delle città conquistate, il numero di decapitazioni, i checkpoint costruiti e persino il numero di apostati ritornati ad abbracciare la vera fede. I suoi video, quindi, sono pieni di carri armati e altri mezzi catturati al nemico oppure mostrano le conquiste territoriali che il gruppo è riuscito a compiere, dando l’immagine di un gruppo forte in continua ascesa: ma la loro stessa qualità è una esibizione di concretezza e “normalità” di fatto, data anche dai grandi patrimoni accumulati dall’IS attraverso contributi, petrolio e sequestri. Come ha raccontato al giornale un ex analista della CIA: «Il successo porta ad altri successi. Quando i giovani guardano i video capiscono che lo Stato Islamico ha i soldi».