Scene di lotta di classe a Burning Man
Negli Stati Uniti si discute se il festival più strano e bizzarro del paese sia stato colonizzato dai "ricchi" (e se sia una novità)
Lunedì primo settembre finirà Burning Man, un leggendario festival di arte, musica e “autosufficienza” che si tiene ogni anno dal 1991 nel deserto del Nevada. La sera di sabato la fine della manifestazione è stata anticipata con l’evento che da nome al festival: un’enorme statua di forma umana in legno è stata bruciata. La statua si trova al centro di una vera e propria città provvisoria costruita dalle decine di migliaia di partecipanti al festival e realizzata secondo il preciso piano regolatore degli organizzatori. Burning Man, infatti, è un incrocio tra anarchia libertaria e ferrea organizzazione. Non è l’unico contrasto del festival, perché accanto ai campeggiatori che arrivano con una tenda o una roulotte ci sono anche accampamenti ultra-sofisticati. Il segno, secondo alcuni, che il festival si sta “imborghesendo”.
Per capire Burning Man è importante sapere che è un evento diverso da un gigantesco concerto (non è Woodstock, per intenderci). Non c’è un palco centrale, non ci sono grandi nomi che fanno esibizioni pubblicizzate. C’è molta musica, ma ci sono anche decine di altre attività: dai corsi di danza a quelli di bricolage. In altre parole: non si va a Burning Man per assistere a qualcosa in particolare, l’evento da vedere è lo stesso Burning Man.
I fondatori di Burning Man, Kevin Evans, John Law e Michael Mikel, tre amici che crearono il festival nel 1990, lo descrivono come un esperimento sociale di autorganizzazione nel quale per una settimana viene creata una città artificiale che deve sopravvivere in (quasi) completa autonomia all’interno di un ambiente naturale ostile. Il festival si tiene nel deserto del Nevada in un periodo dell’anno in cui durante il giorno fa caldissimo e il sole è particolarmente forte (uno dei modi di dire dei “burners”, come si identificano i partecipanti al festival, è «bevi ogni volta che non stai parlando»). Se non c’è il sole è probabile che sia in corso una tempesta di sabbia in cui il vento soffia fino a 120 chilometri all’ora. Oppure può piovere, e quando succede accade di solito per giorni e il terreno diventa un pantano.
In mezzo al deserto del Nevada viene costruita una città: si chiama Black Rock City, ha una serie di strade e viali con nomi e numeri, una pianificazione urbanistica molto precisa (una serie di anelli concentrici intorno al Burning Man con un unico spicchio lasciato libero per le esibizioni). A Black Rock City ci sono regole molto precise. Tranne che per comprare ghiaccio e caffè, non si può usare denaro: l’unica forma di scambio accettata è il baratto. Non si possono fare fotografie se non chiedendo permessi e non si può girare in macchina (a meno che non sia una automobile artistica regolarmente registrata presso il “Dipartimento delle automobili mutanti”, gestito dagli organizzatori). Inoltre, al termine del festival non devono restare tracce: tutto deve essere ripulito. Insomma: è una città “anarchica” nel senso che chiunque può vestirsi come vuole, organizzare concerti ed esibizioni di opere d’arte, ma non si tratta di una specie di grande comune di hippie (che ci sono, insieme a molti altri tipi sociali).
Secondo Chris Taylor, un giornalista di Time che ha scritto per Mashable un lungo articolo su Burning Man, questo punto viene spesso frainteso e per questo, quasi ogni anno, alcuni giornali scrivono che a Burning Man sono “arrivati i ricchi”. La gran parte degli abitanti di Black Rock City, infatti, vive in camper, tende o sistemazioni piuttosto spartane. Come in ogni città però anche a Black Rock ci sono quartieri più “in” di altri. In alcuni di questi le abitazioni sono formate da file di lussuosi camper disposti a cerchio in modo da creare una specie di cortile interno. Altri abitanti semplicemente creano delle barriere con dei teli neri, in modo da ottenere uno spazio isolato dal resto del campo.
Nellie Bowles, una giornalista di Re/code, è andata a fare un giro in alcuni di questi campi di lusso per vedere cosa c’era dentro. Uno di questi era formato da un cerchio di camper che lasciavano un unico varco coperto da una tenda di tessuto. All’interno del cerchio c’era uno spazio molto ampio con un candeliere di cristallo, bottiglie di champagne gelato, un tavolo con almeno sedici sedie e una decina di ragazze in biancheria intima che servivano cocktail. Quando Bowles e i suoi amici sono stati notati gli abitanti del campo non hanno avuto una reazione molto serena (il che è un po’ in contrasto con lo spirito di ospitalità e condivisione del festival). Questo sfoggio di ricchezza ha turbato molti “puristi” di Burning Man e anche il New York Times ha pubblicato un articolo in cui racconta che il Burning Man non è più il festival di una volta, anche se lo si scrive ogni anno da molto tempo (la straordinarietà di Burning Man è stata notata presto dalle riviste di mezzo mondo, e l’articolo che lo descrive ogni anno è una routine, più o meno ripetitiva).
Bowles spiega infatti che in realtà l’intero festival è sempre stato uno sfoggio di ricchezza. Le “automobili mutanti”, le esibizioni artistiche e le opere d’arte che vengono mostrate durante il festival a volte costano centinaia di migliaia di dollari. Alcuni organizzatori di campi portano intere autobotti di azoto liquido per poter barattare o regalare gelato fresco nonostante i cinquanta gradi di temperatura. Come racconta Taylor, pensare che ci sia qualcosa di strano nel fatto che a Burning Man partecipano anche i ricchi, significa credere che sia un ritrovo di nostalgici hippie, quando i “burners” più che ai figli dei fiori hanno sempre somigliato a degli utopisti appassionati di nuove tecnologie. Secondo Taylor, quindi, non è cambiato molto, anche se Bowles resta convinta che questo sia il primo anno in cui i ricchi hanno conquistato un intero quartiere a Black Rock City. Per Will Rogers, uno dei fondatori del festival, l’intera questione è molto più semplice: «Dopo la prima tempesta di sabbia abbiamo tutti lo stesso colore».