4 luoghi comuni sul tennis, verificati
Chi serve con palle nuove è favorito? E servire per primi aiuta? Lo studio statistico di due professori olandesi smentisce molte percezioni istintive
Le cose che pensiamo di sapere sulle partite di tennis, o certi luoghi comuni, in diversi casi non hanno alcun fondamento. Lo ha spiegato il New York Times – nei giorni in cui sono cominciati gli US Open di tennis – in un articolo in cui ha raccontato il libro di Franc Klaassen e Jan R. Magnus – due professori dell’Università di Amsterdam – che hanno utilizzato il tennis come «strumento per illustrare la potenza e la bellezza del ragionamento statistico». Scrivendo e scoprendo, nel frattempo, delle cose interessanti sul tennis stesso. Il libro si intitola “Analyzing Wimbledon, The power of statistics“, e analizza le partite del torneo tra 1992 e il 1995, da cui risultano una serie di numeri e dati stabili nel tempo nonostante i cambiamenti nel gioco e, dunque, come ha spiegato Klaassen, ancora validi.
Servire per primi è un vantaggio?
Il tennista francese Nicolas Mahut, qualche anno fa, disse ad esempio che per lui servire per primo era un grande vantaggio: «Sono abbastanza sicuro che qualunque altro giocatore ti risponderà la stessa cosa». Effettivamente lo hanno dichiarato, tra gli altri, anche Caroline Wozniacki, giocatrice danese e lo spagnolo Tommy Robredo. Sembra insomma riconosciuto e condiviso (anche dai telecronisti) che avere battuto per primi possa essere molto importante, soprattutto quando si arriva a un game decisivo.
Jeff Greenwald, un consulente di psicologia dello sport, autore di “The Best Tennis of Your Life” ha spiegato al New York Times che i giocatori che servono per primi assumono in effetti una sensazione di trovarsi in vantaggio, con lo svilupparsi di risultati come 2-1, 3-2, eccetera. La sensazione è illusoria, ma può diventare fondata proprio perché la sensazione speculare del loro avversario è di trovarsi a dover rincorrere. La ricerca sui dati di Klaassen e Magnus ha mostrato invece che se c’è un vantaggio è irrilevante o comunque vale solo per il primo set, nel quale i dati mostrano tra il 3 e il 4% in più di vittorie per chi ha battuto per primo. Nei set successivi le cose si capovolgono, ed è più probabile il giocatore che serve per primo risulti perdente. Va considerato infatti che nel primo set chi serve per primo è scelto causalmente mentre per gli altri set c’è una regola precisa, e cioè serve per primo chi ha risposto nell’ultimo game del set precedente e che più spesso è quello che ha perso, ovvero il più debole (in una maggior parte dei casi). Poi ci sono quelli come Agassi, che diceva di non voler battere al primo game per potersi permettere di perderlo senza conseguenze, quando non si era ancora scaldato a sufficienza.
Chi serve con palle nuove è favorito?
Più si gioca e più le palle si fanno pesanti e lente e per questo vengono cambiate dopo 7 giochi dall’inizio della partita (perché vengono in parte consumate anche durante i palleggi preliminari) e poi ogni 9. Il luogo comune è che ci sia un vantaggio per chi deve servire subito dopo la sostituzione delle palle, perché la sua battuta ne beneficia. Nella loro ricerca, i due studiosi non hanno rilevato nei dati alcun vantaggio spiegando anzi che le palle più vecchie permettono ai giocatori un migliore controllo. Paul Annacone, storico allenatore di Pete Sampras, ma anche di Roger Federer, ha confermato che, consapevoli di questo, molti giocatori cambiano le loro racchette prima di servire con palle nuove in modo da poter avere un miglior controllo. Caroline Wozniacki ha poi spiegato che con una palla nuova «è necessario ricordarsi di mettere un po’ più di spin, o la palla volerà via». Jeff Greenwald, smentendo il luogo comune, ritiene che le palle nuove spingano i giocatori al servizio a essere più aggressivi in cerca di più aces, e a sbagliare di più.
Un ace può influire sulla dinamica della partita?
Il luogo comune vuole che un ace (e cioè un servizio vincente senza che ci sia una valida risposta dall’avversario) valga più di un punto ordinario perché è ottenuto rapidamente, fa risparmiare energia, mantiene alto il ritmo del gioco e psicologicamente influisce in modo opposto su chi lo realizza e sull’avversario che lo subisce, inerme. In questo caso, la questione inizia a diventare rilevante quando gli ace sono più di uno. Se da una parte ci vuole molta forza e un buon equilibrio per far fronte a una serie di ace subiti – «c’è un accumulo di frustrazione» da parte di chi li subisce, ha chiarito Paul Annacone – dall’altra in chi li realizza si può generare un’eccessiva fiducia che può indurre a volerne realizzare ancora, e quindi a commettere degli errori. Insomma, la faccenda può diventare un rischio. Il record di ace consecutivi durante un’unica partita appartiene a Sam Querrey, che ha ne serviti 10 contro James Blake nei quarti di finale all’Indianapolis Tennis Championship del 2007.
Dopo un break c’è un calo nelle prestazioni?
Si dice spesso che alla piccola impresa di strappare un servizio può seguire un rilassamento nel giocatore che l’ha compiuta: questo è vero solo in parte. I dati dicono che gli uomini non diventano più vulnerabili dopo aver tolto un servizio all’avversario, mentre può valere per le donne, che molto probabilmente hanno un maggiore calo di attenzione. La tennista Ana Ivanovic dice che «le donne tendono a iperanalizzare tutto» e dopo un break entrambe le giocatrici cambiano stato d’animo: una si sente più sicura e si rilassa rischiando di sbagliare, l’altra pensa di non avere nulla da perdere.