La crisi della Francia, spiegata
Una guida per punti a quello che sta succedendo dopo le dimissioni del governo di Manuel Valls
Lunedì 25 agosto, la Presidenza della Repubblica francese ha annunciato con un breve comunicato le dimissioni del governo presieduto da Manuel Valls. Oggi sarà nominato un nuovo governo più coerente «con le linee guida che il paese si è prefissato». La notizia delle dimissioni è arrivata dopo un incontro di un’ora tra il primo ministro Valls e il presidente della Repubblica Hollande, e sulla decisione ci sarebbe stato tra i due un «consenso assoluto». Oggi, le prime pagine dei giornali francesi sono naturalmente dedicate alla crisi di governo, che riguarda non solo l’esecutivo ma lo stesso Presidente della Repubblica. Il quotidiano di sinistra Libération e quello di destra Le Figaro hanno scelto lo stesso titolo (“Crise de régime”): e anche questo fa parte della storia.
Il primo governo Valls
Nell’aprile del 2014, dopo il risultato delle elezioni amministrative che avevano portato a una pesante sconfitta per il Partito Socialista al governo, a un’avanzata del Front National di Marine Le Pen e alla vittoria dell’Unione per un Movimento Popolare (UMP), tornato a essere il primo partito del paese, il governo del socialista Jean-Marc Ayrault si era dimesso: il presidente della Repubblica François Hollande aveva nominato come nuovo primo ministro Manuel Valls, socialista anche lui, già ministro degli Interni, che aveva a sua volta formato il nuovo governo che è rimasto in carica solamente 147 giorni.
La crisi di governo
All’origine della recente crisi di governo c’è una divisione interna al Partito Socialista che ha a che fare con le scelte economiche; ma più in generale con la linea politica giudicata da alcuni, semplificando, più di destra che di sinistra e, in ogni caso, poco coraggiosa: l’esecutivo del governo Valls era formato da 16 ministri di cui 14 erano esponenti del Partito Socialista (come Valls e come il Presidente della Repubblica Hollande) la maggioranza dei quali apparteneva all’ala più moderata del partito.
Le critiche principali alla linea politica sostenuta dall’asse Valls-Hollande sono state fatte invece dal ministro dell’economia Arnaud Montebourg che appartiene all’ala più a sinistra del Partito Socialista, di cui è da tempo l’esponente più popolare e vivace. Sabato scorso, in un’intervista al quotidiano Le Monde, Montebourg aveva chiesto un cambiamento di direzione del governo in materia economica e aveva ricevuto il sostegno di Benoît Hamon, ministro all’Educazione nazionale, e di Aurélie Filippetti, ministro della Cultura e della Comunicazione. Secondo un giornalista della televisione francese BFM anche il ministro della Giustizia Christiane Taubira avrebbe inviato durante il fine settimana un messaggio di sostegno a Arnaud Montebourg, ma non ci sono sue dichiarazioni pubbliche che confermino la notizia.
Montebourg ha fatto sapere che non parteciperà al nuovo governo. E anche Hamon che a France 2 ha dichiarato che sarebbe per lui incoerente una nuova nomina: «Perché la Francia esca dalla crisi è necessario che la sinistra abbia successo e io metterò tutta la mia energia in questo», ha concluso. Aurélie Filippetti, in una lettera pubblicata su Le Monde ha scritto che «c’è un dovere di solidarietà, ma c’è anche un dovere di responsabilità nei confronti di coloro che ci hanno reso quello che siamo» e che per questo non sarà candidata a un nuovo posto ministeriale. Ha infine spiegato che gli elettori, sempre più tentati dal Front National, si aspettano dal governo «una politica realista, ma di sinistra».
Manuel Valls
Manuel Carlos Valls ha 52 anni, ha origini catalane (è nato a Barcellona), ha ottenuto la nazionalità francese a vent’anni, è stato massone (anche se sostiene di non essere più un membro attivo) e dice di ispirarsi a Tony Blair. Ha iniziato a occuparsi di politica negli anni Ottanta, è stato responsabile della comunicazione del primo ministro Lionel Jospin dal 1997 al 2002, poi sindaco di Evry (banlieue multiculturale di Parigi) e dal 2002 è deputato per i socialisti. Nell’ottobre del 2011 aveva sfidato Hollande alle primarie del partito, ottenendo il 5,6 per cento dei voti, e nel maggio del 2012 era stato nominato ministro degli Interni.
Valls è anche, stando ai sondaggi, il socialista più apprezzato dagli elettori di centrodestra: è infatti considerato un esponente dell’ala destra del Partito Socialista, la più liberale; nel 2005 si schierò con il Sì in occasione del referendum (fallito) sulla Costituzione europea, che spaccò i socialisti; nel 2011 disse di essere favorevole a “sbloccare” la legge francese che limitava a 35 ore la durata settimanale dell’orario di lavoro. Al momento della sua nomina a primo ministro Le Monde scriveva: «Valls incarna la sinistra liberale sul piano economico e la sinistra repubblicana, perfino securitaria, sul piano della condotta. […] L’equilibrio si è spostato a destra, probabilmente perché il paese ha chiaramente votato a destra alle elezioni amministrative».
Arnaud Montebourg
Arnaud Montebourg ha 51 anni, è avvocato ed è un deputato del Partito Socialista dal 1997. Nel 2011, aveva anche lui partecipato alle primarie del Partito Socialista e del Partito Radicale per le presidenziali: il suo risultato – un ottimo 17 per cento – aveva contribuito al fatto che nessuno dei due candidati principali, François Hollande e Martine Aubry, avesse superato il 50 per cento dei voti. La sua proposta politica, a quel tempo, aveva due punti fermi: la démondialisation, ovvero la battaglia agli aspetti della globalizzazione che svuoterebbero gli Stati nazionali di potere decisionale, e la “messa sotto tutela” della banche. Ha sempre dimostrato uno stile molto energico e spesso isolato all’interno del suo stesso partito, dando di sé un’immagine intransigente e dell’uomo che si è fatto da solo, senza ricevere alcun aiuto o favore.
Nel governo Ayarault era stato scelto come ministro delle Attività produttive, nel successivo governo di Manuel Valls come ministro dell’economia, in un momento piuttosto difficile per la Francia. Tra le principali riforme introdotte da Montebourg c’è stato il decreto definito del “patriottismo economico” che prevede che qualsiasi investimento di capitali stranieri in aziende francesi del settore dei trasporti, dell’energia, della sanità, delle risorse idriche e delle telecomunicazioni, debba essere preliminarmente approvato dal Ministero dell’Economia.
Il disaccordo tra Montebourg e Valls
Le Monde ha riassunto i principali punti di disaccordo tra Montebourg e Valls: sono tre. Il primo riguarda la riduzione del deficit e i rapporti con l’Europa. Montebourg ha sempre espresso forti critiche nei confronti delle politiche di austerità economica, che «non funzionano e sono ingiuste»: «È ormai stabilito, riconosciuto, acquisito e condiviso il fatto che le politiche di austerità sono la causa del protrarsi della crisi economica e delle inutili sofferenze della popolazione europea».
Ancora: «Ridurre il deficit in modo forzato è antieconomico perché aggrava la disoccupazione, è un’assurdità dal punto di vista finanziario perché rende impossibile il ripristino dei conti pubblici ed è un disastro dal punto di vista politico perché spinge gli europei nelle braccia dei partiti estremisti che vogliono distruggere l’Europa». Manuel Valls, che è invece vicino alla linea presidenziale di una politica basata sull’ortodossia fiscale (e che è dunque vicino all’Europa), ha più volte ribadito che era sì arrivato il tempo di un cambiamento nella politica economica, ma in un’altra direzione: «Questo paese ha vissuto al di sopra dei propri mezzi per troppi anni».
Il secondo punto riguarda le diverse posizioni economiche in generale. Montebourg si muove tra la cosiddetta “economia dell’offerta” (quella associata alla presidenza di Ronald Reagan nei primi anni ottanta) e l'”economia della domanda”. La prima dice che l’offerta deve essere sostenuta attraverso degli incentivi e che una minore tassazione, ad esempio, stimola la crescita. Le teorie keynesiane della domanda sostengono invece che è compito dello stato intervenire con misure di sostegno alla domanda di beni e servizi. Montebourg pensa che vadano fatte entrambe le cose: non nega la necessità di migliorare la competitività delle imprese ma sostiene che vada fatto uno sforzo maggiore per le famiglie. Valls e Hollande sarebbero invece sbilanciati verso una politica dell’offerta. Lo stesso “patto di responsabilità” con le imprese proposto all’inizio di gennaio dal Presidente della Repubblica intende aumentare il grado di “competitività” delle aziende, riducendo il loro carico fiscale. Valls era perfettamente in linea con questo piano.
Il terzo punto riguarda l’intervento statale nell’economia. Arnaud Montebourg intende rilanciare la produzione francese e sostenere la reindustrializzazione anche attraverso misure protezionistiche per difendere l’economia dalla Cina e attraverso una lotta contro la corruzione e contro i paradisi fiscali: «Un paese che non produce è nelle mani dei paesi che producono». Ha proposto l’introduzione di una tassa sulle transazioni finanziarie e l’ingresso per legge dello Stato nei consigli di amministrazione e nel capitale delle banche, con il fine ultimo di creare quello che chiama un “capitalismo cooperativo”. Valls (e Hollande) si sono sempre dimostrati più timidi sulla questione. Un esempio su tutti è rappresentato dalla compravendita di Alstom, uno dei più grandi e antichi gruppi industriali francesi, da tempo in difficoltà economiche. Il ministro Montebourg è favorevole a una trattativa che coinvolga Siemens piuttosto che il gruppo statunitense General Electric, per quanto riguarda il settore dell’energia in modo da creare un “asse” europeo. Montebourg ha anche ipotizzato una terza soluzione, interamente «made in France» e che prevede dunque una nazionalizzazione parziale del gruppo. Non si tratta però di una posizione condivisa all’interno del governo: «Abbiamo bisogno di una soluzione industriale», hanno fatto sapere dalla Presidenza della Repubblica.
Infine, Hollande
Dopo le dimissioni del primo governo Valls, dalle opposizioni (Fronte Nazionale e anche UMP) sono arrivate le richieste di uno scioglimento dell’Assemblea e di un ritorno alle elezioni. E sono arrivate molte critiche rivolte non tanto a Manuel Valls ma al Presidente della Repubblica, ritenuto il vero responsabile della crisi. L’ex primo ministro François Fillon, ad esempio, ha scritto:
«Le dimissioni del governo mostrano lo smarrimento in cui si trova il Presidente della Repubblica di fronte alle conseguenze della sua inazione. Ha cercato di destreggiarsi tra l’irresponsabilità della sinistra che vuole aumentare sempre di più la spesa pubblica ignorando la necessità di risanare le finanze e una tendenza alla passività che sembra a lui connaturata (…) Penso che il Presidente non sia in grado di concepire un futuro per la Francia».
La critica, pur con toni differenti, è sostanzialmente condivisa anche da diversi analisti politici non ostili a Hollande che hanno parlato di una «crisi politica strutturale, che mostra la debolezza della sinistra, il suo dilettantismo, la sua impreparazione ad affrontare la crisi, la sua incapacità di superarla collettivamente» e che hanno scritto che «non rimane molto dell’autorità del presidente, che ha la sua parte di responsabilità». Ma si tratta di un’opinione condivisa dagli stessi elettori di sinistra che non hanno premiato il Partito Socialista né alle amministrative di marzo (l’UMP è tornato a essere il primo partito del paese) né alle europee di maggio (dove il PS è arrivato terzo dietro il Fronte Nazionale e l’UMP).
Il presidente socialista François Hollande è in difficoltà praticamente dal giorno della sua elezione e non solo in campo economico: i sondaggi, già a pochi mesi dall’insediamento, avevano mostrato un bassissimo indice di gradimento e un bassissimo indice di fiducia nei suoi confronti (bassissimo perché una percentuale così non era mai stata raggiunta da un presidente in carica). La crisi economica in cui da tempo si trova la Francia non ha mostrato segni di miglioramento (i dati sul Pil del secondo trimestre 2014 sono rimasti invariati rispetto allo stallo del trimestre precedente), molte delle promesse pre-elettorali su posti di lavoro e maggiore equità sociale non sono stati mantenuti e il processo delle riforme procede con grande lentezza.