Il più grande giocatore di squash di sempre
Hashim Khan è morto il 18 agosto e ha una storia che sembra uscita da un romanzo: imparò a giocare senza scarpe e vinse per sette volte il più importante torneo del mondo
Quando nel 1951 Hashim Khan, che è morto lo scorso 18 agosto a 100 anni (forse), scese dall’aereo a Londra per partecipare agli Open di Londra, il torneo di squash più importante del mondo, nessuno sapeva chi fosse. Aveva 37 anni (o forse 41: non esistono dati certi sull’anno della sua nascita) e aveva imparato a giocare a piedi nudi in un circolo ufficiali di Peshawar quando l’India era ancora una colonia britannica. Nel 1949 l’India si divise, Khan divenne un cittadino pakistano e il suo governo, ansioso di affermare la propria indipendenza, lo inviò a giocare il torneo più prestigioso proprio a casa dei vecchi padroni coloniali. Come in una favola o in un film, Khan sconfisse tutti i suoi avversari con una facilità che è diventata «leggendaria», come ha ricordato l’Atlantic: nelle ultime due partite non perse nemmeno un punto. Il viaggio che lo aveva portato a Londra era il primo che faceva in aereo ed era il primo che lo portava fuori dal suo paese.
Khan è morto ad Aurora, in Colorado, negli Stati Uniti, dove viveva dagli anni Settanta, a causa di un attacco cardiaco. Aveva tra 100 e 104 anni ed è stato uno dei primi eroi nazionali pakistani. I suoi successi sportivi hanno aiutato il Pakistan a formare un’identità e un orgoglio nazionale, in un modo non troppo diverso da come fece la nazionale di calcio brasiliana per il suo paese negli anni Cinquanta. Ancora oggi è considerato il miglior giocatore di squash di sempre.
Il Washington Post ha definito lo sport di Khan «un faticoso misto di velocità, forza, precisione, resistenza e calcoli matematici». Un atleta inglese una volta definì lo squash «boxe con le racchette». Lo squash si gioca in un campo rettangolare con racchette lunghe come quelle da tennis, ma con un piatto più piccolo. Lo squash si gioca in due (anche se come nel tennis si possono giocare anche i cosiddetti “doppi”) e si fa punto spedendo una piccola pallina cava di gomma contro il muro di fronte ai giocatori in modo che il proprio avversario non riesca a rispedirla contro lo stesso muro dopo il primo rimbalzo a terra. Lo squash è diffuso principalmente nel Regno Unito e nelle ex colonie britanniche, ma anche negli Stati Uniti, in Egitto e in Germania. Secondo la federazione americana squash, circa 20 milioni di persone nel mondo giocano regolarmente a squash. Si tratta per certi versi di uno sport ancora d’élite: circa il 98 per cento dei giocatori abituali è laureato.
Anche per questo motivo la vittoria di Khan nel 1951 fece particolarmente impressione: uno sconosciuto pakistano oramai un po’ in là con gli anni aveva battuto i padroni di casa nello sport dove fino a quel momento avevano primeggiato gli studenti dei migliori college inglesi. Khan aveva cominciato a giocare nella base militare di Peshawar dove lavorava il padre, morto quando Khan aveva undici anni. All’inizio Khan lavorava come raccattapalle e lui e gli altri ragazzi cominciavano a giocare non appena gli ufficiali inglesi lasciavano il campo. Per i primi anni Khan giocava a piedi nudi sui mattoni che costituivano il pavimento del campo.
Nel 1942 cominciò a essere pagato per allenare gli ufficiali inglesi e due anni dopo fece un viaggio in treno di due giorni per partecipare a un torneo regionale indiano. Era la prima volta in cui giocava su un campo in legno. Khan vinse il torneo e tornò per i due anni successivi per difendere – con successo – il titolo conquistato. Nel 1947 l’India si separò dal Pakistan e Khan divenne un giocatore della squadra di squash dell’aviazione militare pakistana, che nel 1951 gli pagò il viaggio agli Open di Londra. Al suo ritorno in Pakistan c’erano un milione di persone ad attenderlo per festeggiarlo. Non sarebbe stata l’ultima volta in cui vinceva il più importante torneo di squash: nel corso della sua carriera Khan vinse gli Open di Londra altre sei volte.
Khan si sposò quando venne assunto per la prima volta come allenatore di squash: con sua moglie, Mehria Begum, ebbe sedici figli, di cui dodici sopravvissero all’infanzia. Negli anni Settanta si trasferì negli Stati Uniti, prima a Detroit e poi a Denver. Come ha scritto l’Atlantic, «i giornalisti americani lo adoravano»: durante la sua prima visita nel paese Life, Sports Illustrated, Newsweek, New York Times, New York Herald Tribune e New Yorker gli dedicarono degli articoli o dei ritratti, nonostante lo squash all’epoca fosse uno sport poco conosciuto nel paese. La storia di Khan era semplicemente troppo perfetta per non essere raccontata. Come ha scritto James Zug, nel suo libro sulla storia dello squash: «I venditori di sogni a Hollywood non avrebbero potuto inventarsi una storia più romantica della vera storia dell’ascesa di Hashim Khan». Nei suoi numerosi viaggi per i club di squash in giro per il paese (che in genere si trovavano nelle università più aristocratiche della costa est), Khan fu quasi sempre la prima persona non bianca e il primo musulmano a mettere piede.
Ma i giornalisti lo amavano anche per il suo lato umano. Khan parlò sempre in un inglese molto accentato, condendo i suoi discorsi con battute e aforismi. Era carismatico e vulcanico, sempre disponibile a viaggiare, a dare lezioni di squash e a firmare autografi (scriveva il suo nome ogni volta in inglese e in arabo). Era anche un uomo con abitudini piuttosto morigerate: non beveva e non fumava e per tutta la vita cercò di rispettare la sua routine andando a letto alle 20.30 e svegliandosi alle 6.30. Khan smise di giocare circa dieci anni fa, dopo aver passato molti anni impegnato in esibizioni sportive e allenando decine di giocatori. Sua moglie è morta nel 2007 insieme a una delle sue figlie. Khan lascia sette figli e cinque figlie, oltre a più di quaranta nipoti e pro-nipoti.