Perché la diga di Mosul è importante
In Iraq americani e curdi stanno combattendo contro lo Stato Islamico per controllarla: c'è il rischio che venga usata come arma per uccidere centinaia di iracheni
Negli ultimi tre giorni gli Stati Uniti hanno compiuto 35 attacchi aerei contro postazioni dello Stato Islamico (IS) attorno alla diga di Mosul, nel nord dell’Iraq, a sostegno di un’operazione militare di terra della milizia curda conosciuta come “Peshmerga”. Americani e curdi stanno collaborando per riprendere il controllo della diga, conquistata il 7 agosto scorso dai miliziani dell’IS – gruppo sunnita estremista prima conosciuto come ISIS. La diga di Mosul non è solo strategicamente importante per il controllo delle risorse idriche – è la più grande in Iraq, e la quarta più grande in tutto il Medio Oriente – ma è stata anche descritta come una specie di “arma” potenzialmente in grado di fare centinaia di morti.
La diga, dalle ultime informazioni, è stata quasi completamente riconquistata dai curdi. Sembra comunque che i miliziani dello Stato Islamico controllino ancora una parte secondaria della struttura, e che i curdi stiano facendo fatica ad avanzare a causa delle mine di cui è cosparso il territorio. Lunedì, comunque, il ministro della Difesa iracheno ha detto che «la bandiera irachena è stata issata sulla diga alle 11 di questa mattina».
Come è fatta la diga di Mosul
La diga di Mosul si trova sul fiume Tigri, nel governatorato occidentale iracheno di Ninawa, a circa 50 chilometri a nord della città di Mosul. La sua costruzione cominciò nel 1980, decisa dall’allora presidente iracheno Saddam Hussein che l’aveva inserita in un più ampio piano di “arabizzazione” del nord dell’Iraq: fu affidata a un consorzio italo-tedesco guidato dall’azienda Hochtier Aktiengesellschaft, che la completò nel 1984. Oggi la diga fornisce acqua a buona parte del nord dell’Iraq: ha una capacità di invaso complessiva di circa 11 miliardi di metri cubi d’acqua e fornisce energia elettrica agli 1,7 milioni di abitanti di Mosul. La centrale principale ha una potenza di 750 megawatt e prevede un impianto ad accumulo per pompaggio con una potenza di 240 MW e un sistema ad acqua fluente di 62 MW a valle.
Controllare la diga di Mosul significa controllare parte delle risorse idriche dell’Iraq. A febbraio del 2014 i miliziani dello Stato islamico avevano preso il controllo della diga di Fallujah, nella provincia occidentale irachena di Anbar, e avevano cercato di conquistare – senza però riuscirsi – anche la diga di Haditha, la seconda più grande diga del paese che si trova a nord-ovest di Baghdad. A inizio maggio l’IS aveva chiuso otto delle dieci chiuse della diga di Fallujah, provocando un’inondazione delle terre sul fiume Eufrate e riducendo le forniture di acqua alle province meridionali dell’Iraq. Solo in un secondo momento l’IS aveva deciso di riaprire le chiuse, per evitare che le acque inondassero zone sotto il suo controllo, nei pressi di Fallujah. Il timore oggi è che l’IS possa fare una cosa simile anche a Mosul, con conseguenze però molto più gravi.
I problemi e la manutenzione
Fin dai suoi primi anni, la diga richiese una manutenzione costante: parte della diga, infatti, era stata costruita su un deposito di gesso, un minerale che si scioglie a contatto con l’acqua. Per evitare un suo cedimento, dal 2007 vengono effettuate quotidianamente delle iniezioni di cemento nelle sue fondamenta. Nel 2006 uno studio del corpo del genio dell’esercito americano ha definito la diga di Mosul una delle «più pericolose al mondo». Tra il 2006 e il 2010 gli Stati Uniti hanno investito nello studio e manutenzione della diga oltre 30 milioni di dollari.
Il punto è che un cedimento della diga produrrebbe un’onda alta 30 metri che colpirebbe in poco tempo la città di Mosul, causando inondazioni fino a Baghdad. Secondo alcune stime, il crollo potrebbe causare fino a 500mila morti (alcuni dicono molti di più). Nelle ultime settimane si è dibattuto molto sulla possibilità che l’IS possa distruggere la diga e usare l’acqua come “arma”. Il comandante delle forze speciali del Kurdistan ha detto che la diga è diventata «una minaccia esistenziale per l’Iraq. Non possiamo anticipare la loro [dello Stato Islamico, ndr] reazione o quello che faranno poi». Il generale statunitense in congedo James Marks ha detto invece a CNN che la possibilità che la diga venga usata come un’arma è molto improbabile, perché la prima città colpita sarebbe proprio Mosul, che da diverse settimane si trova sotto il controllo dell’IS (Baghdad, invece, è a 400 chilometri più a sud).
L’importanza politica di Mosul
Per prima cosa, gli attacchi aerei americani attorno alla diga di Mosul sono stati causa di parecchie discussioni negli Stati Uniti sul tipo di coinvolgimento del paese negli affari dell’Iraq. I raid aerei americani erano stati autorizzati dall’amministrazione Obama venerdì 8 agosto, con la motivazione di bloccare l’avanzata dello Stato Islamico verso il Kurdistan iracheno (dove tra le altre cose si trovano molti cittadini americani): erano stati quindi presentati come un’azione di tipo “difensivo”, per proteggere i curdi e le minoranze etniche massacrate dai miliziani dell’IS, come gli yazidi. In molti si stanno chiedendo oggi se l’attacco a delle postazioni nemiche attorno alla diga di Mosul si possa ancora considerare un atto “difensivo”, e non “offensivo”.
Daniele Raineri ha scritto sul Foglio: «I bombardamenti dall’aria e la presenza di consiglieri militari delle forze speciali – i Berretti Verdi – sono il segno che la missione americana a fianco delle milizie curde e dell’esercito iracheno cambia: ora si tratta di collaborare e respingere l’avanzata dei soldati del Califfato». Nei giorni scorsi l’amministrazione Obama ha ribadito che per ora non c’è l’intenzione di un più ampio attacco anti-terroristico contro lo Stato Islamico in Iraq. Ma come ha scritto Matt Bradley sul Wall Street Journal: «Obama ha stabilito obiettivi limitati per la campagna militare, che però sono abbastanza elastici per permettere al Pentagono di colpire i miliziani dello Stato Islamico dovunque nel paese nel momento in cui vengono considerati una minaccia agli americani che lavorano in Iraq».