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  • Sabato 16 agosto 2014

La storia della foto virale alla Howard University

È circolata moltssimo, mostra centinaia di studenti neri con le mani in alto per protestare contro l'omicidio di Michael Brown

di Jessica Contrera - The Washington Post

Prima di posare in mezzo alla folla con le mani rivolte verso l’alto, prima che la sua foto diventasse virale su Internet, e prima ancora che avessimo notizia del diciottenne ucciso da un agente di polizia a Ferguson, Missouri, Khalil Saadiq era all’ultimo anno di scuole superiori.

Era arrivato da Birmingham, in Alabama, per dare un’occhiata a una storica università a prevalenza di studenti neri nel District of Columbia. Nel suo liceo sembrava che tutti i suoi amici parlassero di quando si sarebbe tenuta la prossima festa, o di quando il prossimo modello di scarpe sarebbe stato messo in vendita. Mentre passeggiava nel campus della Howard, nel marzo di quell’anno, le conversazioni a cui assisteva riguardavano invece la morte di Trayvon Martin, e il relativo processo che si sarebbe tenuto a breve. Gli studenti attorno a lui non stavano semplicemente parlando di ciò che era accaduto: si stavano chiedendo cosa potessero fare.

È la stessa cosa che Saadiq si è chiesto un anno e mezzo dopo quelle conversazioni, cioè questa settimana, mentre stava sistemando la sua stanza nel complesso residenziale della Howard in vista del suo secondo anno accademico. Aveva imparato che «se non partecipi alla discussione su come risolvere un problema, allora fai parte del problema». Questo succedeva mercoledì: adesso, tutti hanno capito che il problema che ha portato alla sparatoria di Michael Brown il 9 agosto non era solo un problema del Missouri. È lo stesso problema con cui Saadiq crede di avere a che fare da 19 anni.

Mentre metteva a posto i vestiti, nella sua stanza, Saadiq pensava ai suoi genitori – un’estetista e un riservista dell’esercito – che gli avevano dato la possibilità di prendersi una laurea in Economia. Pensava a una sua amica che vive a Ferguson, e a quanto sembrava spaventata quando gli aveva raccontato di quella notte. Pensava anche a tutte quelle volte in cui era stato seguito dai commessi del supermercato e a come pareva che lo credessero un ladro.

Poi, un’idea. Quella sera, circa 300 studenti della Howard si sarebbero riuniti per un’assemblea per decidere come aiutare le nuove matricole. Trecento studenti neri, che avrebbero potuto farsi sentire. Saadiq chiamò un amico. Assieme, chiamarono altri amici. Ricevettero poi l’approvazione dal capo dell’assemblea. La sera di mercoledì, Saadiq era sul palco del Cramton Auditorium: reggendo in mano un microfono, disse: «ogni singolo giorno mi sento come se fossi colpevole fino a prova contraria». Indossava pantaloni color cachi e una camicia Tommy Hilfiger a quadri. Come quegli studenti che stavano decidendo cosa avrebbero fatto riguardo Trayvon Martin, ecco quello che Saadiq avrebbe fatto riguardo Michael Brown.

Gli studenti avrebbero alzato le mani verso l’alto, come se avessero ricevuto quell’ordine dalla polizia: nella stessa posizione, disse lui, in cui era Brown quando gli hanno sparato. «Per dimostrare che anche la nostra innocenza è una minaccia», ha detto Saadiq alle persone che erano lì.

Poi posò il microfono, scese dal palco e si mise al centro del gruppo. Nessuno aveva l’obbligo di partecipare, ma a lui sembrava che lo avessero fatto tutti. Nel momento in cui avrebbero accolto le matricole, il giorno successivo, la foto sarebbe stata ritwittata più di 10mila volte. Alzarono le mani, lui fissò lo sguardo verso una fotocamera tenuta in mano da un suo compagno di classe.

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©Washington Post 2014