Maliki rinuncia al potere in Iraq
Il primo ministro iracheno dal 2006 ha ritirato la sua candidatura per formare un nuovo governo, dopo giorni di accuse e guai: per l'Iraq potrebbe essere una buona notizia
Giovedì 14 agosto il primo ministro iracheno, lo sciita Nuri al-Maliki, ha annunciato il ritiro della sua candidatura per formare un nuovo governo in Iraq, esprimendosi in favore di un altro esponente del suo partito, lo sciita Haider al-Abadi. Maliki era primo ministro dal 2006 e fino a ieri sembrava deciso a non mollare il suo incarico e svolgere così il suo terzo mandato consecutivo. Nelle ultime settimane, tuttavia, Maliki aveva perso l’appoggio di tutti i suoi ex alleati – la maggioranza del suo partito, il governo statunitense, l’Iran, le milizie sciite di Baghdad – a causa soprattutto della sua incapacità di gestire la recente avanzata nel nord dell’Iraq dello Stato Islamico, gruppo estremista sunnita prima conosciuto come ISIS.
La decisione di Maliki, sostengono in molti, potrebbe essere una buona cosa per la stabilità dell’Iraq. Negli ultimi giorni la situazione a Baghdad si era fatta piuttosto tesa e aveva fatto parlare di un imminente “colpo di stato”. Lunedì 11 agosto infatti il presidente dell’Iraq, il curdo Fuad Masum, aveva chiesto al vicepresidente del parlamento, Haider al-Abadi, di formare un nuovo governo. Il nome di Abadi era stato proposto dalla coalizione che rappresenta i principali partiti sciiti al parlamento iracheno, l’Alleanza Nazionale Sciita, dopo che l’appoggio per Maliki si era ridotto praticamente a zero. Come reazione, Maliki aveva schierato l’esercito in alcuni punti strategici di Baghdad – per esempio attorno alla cosiddetta “Green Zone”, dove si trovano gli edifici del governo e la rappresentanza diplomatica degli Stati Uniti – e aveva accusato il presidente Masum di avere violato la Costituzione.
Non è chiaro cosa abbia portato Maliki a cambiare idea riguardo a un suo terzo mandato. Da tempo il governo statunitense stava facendo pressioni affinché Maliki rinunciasse all’incarico, ma fino a ieri non si era ottenuto alcun risultato (anche quando venerdì scorso l’amministrazione americana ha approvato gli attacchi aerei contro lo Stato Islamico nel nord dell’Iraq – principalmente per bloccare l’avanzata dei miliziani verso Erbil, la capitale del Kurdistan iracheno – Obama ha chiarito che il punto centrale della strategia statunitense in Iraq continuava a essere la formazione di un nuovo governo inclusivo a Baghdad). Sembra invece più probabile che la spinta decisiva per il passo indietro di Maliki siano state le dichiarazioni pubbliche fatte dal governo iraniano mercoledì 13 agosto in favore di Abadi. L’Iran, infatti, era stato il più grande sponsor di Maliki al potere e di fatto si può dire che dalla caduta di Saddam Hussein nel 2003 ha continuato a condizionare ampi settori della vita politica irachena.
Maliki era primo ministro iracheno dal 2006 e negli ultimi anni le sue politiche settarie in particolare contro la minoranza sunnita del paese si erano fatte molte dure. Tra le altre cose, alla fine del dicembre 2011 aveva ordinato l’arresto del vicepresidente del suo governo, il sunnita Tareq al-Hashemi, considerato un politico molto rispettato anche all’estero (precisazione: dalla caduta di Saddam Hussein, sunnita, si è creato in Iraq un meccanismo di rappresentanza etnica e religiosa per le tre maggiori cariche del paese: uno sciita, un sunnita e un curdo per i ruoli di primo ministro, presidente e vicepresidente). Inoltre Maliki aveva sostituito i comandanti dell’esercito e ci aveva messo esponenti sciiti di sua fiducia, tanto che le forze speciali avevano iniziato a essere considerate come una specie di “guardia pretoriana”. Per queste ragioni oggi si accusa Maliki di essere il primo responsabile della diffusione dello Stato Islamico nel nord del paese: a causa delle sue politiche si è alienato l’appoggio delle comunità e gruppi sunniti che abitano in maggioranza il nord-ovest, che hanno deciso di non opporsi – e a volte di allearsi – con i miliziani dell’IS contro il governo di Baghdad, nella logica “del meno peggio”.
Intanto a Baghdad la situazione è questa: Abadi ha ancora 26 giorni a disposizione per cercare di formare un governo. Dovrebbe farcela, a meno di grandi stravolgimenti nella politica irachena, visto che ha già ricevuto pubblicamente il sostegno di tutti coloro che avevano permesso a Maliki di stare a capo del governo fino a ieri.