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  • Giovedì 14 agosto 2014

Quanto pagheresti per un parcheggio?

Alcune applicazioni permettono di "vendere" il posto dove è parcheggiata la propria auto al migliore offerente: sono attive in alcune città americane ma anche a Roma, e fanno discutere

Negli ultimi mesi hanno ricevuto molte critiche, negli Stati Uniti, alcune applicazioni per smartphone che permettono di “vendere” il posto dove è parcheggiata la propria auto al migliore offerente (e, viceversa, di acquistarlo quando si è in cerca di un posto). Fra queste ci sono MonkeyParking, una società italiana attiva a Roma e San Francisco, e due startup americane, Sweetch e ParkModo. Queste società permettono di risparmiare tempo – e benzina – durante la ricerca del parcheggio tramite il pagamento di una cifra (solitamente molto contenuta) alla persona che occupa un posto auto e vuole “venderlo” spostando la sua auto: non è però chiaro se il servizio che offrono sia legale.

Come funzionano
Sul proprio sito, MonkeyParking spiega: «i guidatori che cercano parcheggio possono finalmente fare a meno di fare il giro dell’isolato: ora possono fare delle offerte per conoscere in anticipo quale sarà il prossimo posto a liberarsi». Concretamente funziona così: un guidatore in cerca di posto per la sua auto visualizza su una mappa se in zona sono presenti degli utenti registrati al servizio che stanno per lasciare libero un parcheggio. Nel caso ci siano, il primo può presentare ai secondi un’offerta dai 5 dollari in su, per prenotare il posto. Non appena viene presentata l’offerta, all’utente che ha messo all’asta il parcheggio viene spedito un messaggio che dice: «Andrea pagherebbe 10 dollari per trovare un parcheggio. Puoi aiutarlo?». La transazione avviene non appena lo “scambio” viene confermato da entrambi gli utenti.

A San Francisco il pagamento viene gestito da una seconda società, mentre a Roma lo scambio deve avvenire “materialmente” fra i due automobilisti coinvolti (il pagamento online verrà introdotto fra alcuni mesi, spiega Repubblica). Per ora MonkeyParking non prende nessuna percentuale sulla transazione, anche nel tempo è prevista la sua introduzione. Anche Sweetch e ParkModo funzionano in modo simile: quest’ultima applicazione, in aggiunta, prevede un sistema di notifiche per avvisare il guidatore nel caso un posto si liberi mentre sta guidando, per permettergli di guidare senza occupare le mani a digitare sullo smartphone.

Implicazioni legali
Il 23 giugno il procuratore della città di San Francisco Dennis Herrera aveva richiesto a tutte e tre le società che gestiscono le applicazioni di interrompere le proprie attività poiché stavano violando la legge della città: tutte e tre hanno accettato, e nei giorni scorsi Herrera ha detto che continuerà a tenere d’occhio «coloro che cercano di tenere in ostaggio dei parcheggi pubblici al fine di ricavarne un profitto personale». Le tre società, tuttavia, proseguono la propria attività altrove: ParkModo è ancora attiva a New York e Chicago, Sweetch ha reso il codice della propria applicazione open source per permettere ad altri sviluppatori di utilizzarlo e MonkeyParking, sul proprio sito, ha attivo un form per richiedere il servizio nella propria città.

A San Francisco, Herrera aveva fatto sapere che gli utilizzatori di MonkeyParking potevano ricevere multe di 300 dollari per vendita all’asta di luogo pubblico (circa 224 euro). MonkeyParking, sul proprio sito, fa sapere che in realtà i propri utenti non stanno propriamente pagando per un posto, bensì per «la riduzione del tempo che ci si mette a trovare parcheggio».

In Italia non è ancora chiaro se MonkeyParking sia legale o meno. Un esperto della Polizia locale contattato da Quattroruote ha detto che bisognerà capire «se si tratta o meno di un’occupazione di suolo pubblico per attività di impresa, per cui è prevista la COSAP [canone per l’occupazione di spazi ed aree pubbliche], e assicurarsi che chi subentra paghi subito la nuova sosta come accade normalmente, senza usare i minuti rimanenti di chi se ne è andato».

Implicazioni etiche
In molti hanno giudicato questo tipo di app come il simbolo della scarsa dimestichezza dei fondatori delle startup nei riguardi del “bene comune”, al fine di ricavarne un proprio tornaconto (a sud della San Francisco Bay Area si trova la Silicon Valley, dove negli anni si sono concentrate le principali società e startup che si occupano di informatica: la città è poi la sede di varie startup di successo come Uber). L’edizione statunitense dello Huffington Post ha pubblicato un pezzo in cui parla di MonkeyParking intitolato eloquentemente “Questa app riassume tutti i motivi del perché la gente odia la Silicon Valley”. Nel pezzo ha messo insieme molti tweet critici o sarcastici diretti all’account Twitter della startup.

 

 

Josh Constine, giornalista che si occupa di tecnologia e che ha lavorato anche per Facebook, ha scritto su TechCrunch che applicazioni come MonkeyParking e ReservationHop – un’app che permette di acquistare prenotazioni al ristorante comprate in precedenza dalla società che la gestisce – «sono emblematiche di una nuova ondata di startup egoiste e senza scrupoli che approfittano di piccole aziende e strutture pubbliche per fare soldi e dare una mano ai ricchi».

È ora di chiamare questi parassiti #tecnostronzi [#JerkTech, nell’originale]. Una cosa è surclassare una vecchia e immobile società grazie a una nuova tecnologia. Un’altra è mandare in rovina i più piccoli perché sei in grado di vendere una cosa che di solito è gratis.