In Giappone l’economia non va bene
Nel secondo trimestre del 2014 il PIL è sceso del 6,8 per cento: non è una sorpresa ma preoccupa e fa discutere ancora della cosiddetta "Abenomics" (che cos'è?)
Mercoledì 13 agosto il governo giapponese ha pubblicato le stime preliminari di crescita del PIL nel secondo trimestre del 2014: tra maggio e giugno l’economia giapponese si è ridotta a un tasso annualizzato del 6,8 per cento. Si tratta del calo più grave dai tempi dello tsunami del 2011 e del primo calo da quando è entrato in carica l’attuale primo ministro, Shinzo Abe, che aveva promesso di migliorare la situazione economica del Giappone con una serie di politiche molto incisive.
La contrazione non è stata una sorpresa per gli analisti: nei giorni prima della pubblicazione delle stime preliminari, la previsione più diffusa era quella di un calo del PIL del 7,1 per cento. La situazione, quindi, è leggermente migliore delle ultime previsioni. Il crollo dell’ultimo trimestre è speculare al grande balzo del primo trimestre del 2014, quando il PIL è aumentato ad un tasso annualizzato del 6,8 per cento. La causa di questa oscillazione così notevole tra il primo e il secondo trimestre del 2014 è l’aumento dell’imposta sui consumi, che proprio ad aprile (tra un trimestre e l’altro) è salita dal 5 all’8 per cento.
Che cosa è accaduto: nel primo trimestre del 2014, prima che entrasse in vigore l’aumento, le famiglie e le imprese hanno fatto una vera e propria “corsa agli acquisti”, cercando di anticipare l’aumento dell’imposta. Questa corsa ha “drogato” il PIL del primo trimestre e si è riflessa sul quello del secondo. Una volta comprato tutto quello che serviva prima dell’aumento, nel secondo trimestre i consumi sono precipitati, causando la contrazione stimata dal governo. Ma se il crollo di questi giorni viene semplicemente compensato dalla crescita del primo trimestre, allora non c’è da preoccuparsi?
In teoria sì, ma le cose non sono così semplici. Intanto, se facciamo un passo indietro e andiamo a vedere come va l’economia giapponese dalla metà del 2013 a oggi, ci rendiamo conto che nonostante le grandi oscillazioni verso l’alto o verso il basso tutto sommato le sue dimensioni non sono cambiate. In altre parole, l’economia giapponese non cresce. Inoltre, al crollo di questi giorni si accompagnano altri segnali poco incoraggianti: le esportazioni crescono meno del previsto, l’inflazione sembra aumentare troppo velocemente rispetto ai salari e questo potrebbe causare un’ulteriore depressione dei consumi. Infine, a ottobre è previsto un nuovo aumento della tassa sui consumi: dall’8 al 10 per cento (un aumento che a questo punto potrebbe essere posticipato).
In realtà, come ha scritto il Financial Times, le previsioni del secondo trimestre non hanno rivelato niente di particolarmente nuovo agli esperti del settore. Nuovi dati che saranno pubblicati nei prossimi giorni – più specifici ma molto indicativi, come per esempio gli ordinativi dell’industria – potrebbero dare indicazioni più precisi sulla direzione verso la quale si sta muovendo l’economia giapponese.
Probabilmente il Giappone eviterà una recessione e nell’attuale trimestre (il terzo, quello che va da luglio a settembre) l’economia crescerà di poco o resterà stabile. Il problema è che le aspettative erano molto elevate: Shinzo Abe è diventato primo ministro nel 2012 promettendo una serie di riforme molto ambiziose per rivitalizzare l’economia giapponese. Questo programma, ribattezzato “Abenomics”, si basava su quelle che lui stesso aveva chiamato le “tre frecce”: politiche monetarie espansive, stimoli fiscali e riforme strutturali. Le prime due “frecce” sono state scoccate sin dall’inizio del suo governo. Abe ha aumentato la spesa pubblica mentre la Banca Centrale del Giappone ha iniettato moltissimo denaro nell’economia. Il risultato è stato un deprezzamento del 25 per cento dello yen nei confronti del dollaro e il ritorno dell’inflazione in Giappone, dopo più o meno vent’anni di deflazione quasi senza interruzione. Le riforme strutturali, invece, non sono ancora arrivate e al momento non sembrano nemmeno molto in alto nella lista di priorità del governo.