Un nuovo governo in Iraq?
Il presidente ha dato l'incarico al vicepresidente del parlamento di formare un nuovo governo, ma l'attuale primo ministro non è molto d'accordo
Lunedì 11 agosto il presidente dell’Iraq, il curdo Fuad Masum, ha chiesto al vicepresidente del parlamento, lo sciita Haider al-Abadi, di formare un nuovo governo. Poche ore prima, i parlamentari riuniti nell’Alleanza Nazionale Sciita (una colazione che rappresenta i principali partiti sciiti al parlamento iracheno) avevano votato per presentare come candidato primo ministro proprio al-Abadi, al posto dell’attuale capo di governo, Nuri al-Maliki, un personaggio molto contestato sia in Iraq che all’estero. Dallo scorso aprile, infatti, quando si sono svolte le ultime elezioni parlamentari, in Iraq è necessario formare un nuovo governo. Fino ad oggi è stato impossibile, anche a causa delle divisioni interne al parlamento e a quelle tra gli stessi partiti sciiti che formano la maggioranza, e così è rimasto in carica il governo di Maliki.
Attualmente la situazione a Baghdad è molto tesa perché, da domenica sera, in tutta la capitale sono schierate numerose milizie e forze di sicurezza che si ritiene siano fedeli a Maliki. Nella serata di domenica 10, infatti, Maliki, ha fatto alla tv di stato un discorso molto duro contro il presidente Masum. Maliki ha accusato Masum di aver violato la costituzione e ha promesso di processarlo per non averlo appoggiato nel tentativo di formare un nuovo governo. Anche se non ci sono ancora notizie di scontri, lo schieramento delle truppe e le minacce al presidente dell Repubblica avevano fatto pensare alla possibilità di un colpo di stato. Maliki non ha ancora commentato la decisione di Masum, ma alcuni suoi stretti alleati politici hanno fatto sapere che cercherà di bloccare la nomina del nuovo primo ministro facendo ricorso alla corte suprema.
Questa situazione ha spinto il segretario di Stato americano, John Kerry, a mettere in guardia Maliki. Durante una visita in Australia, Kerry ha dichiarato che nessuno deve fare ricorso alla forza e che «né truppe né milizie devono essere fatte entrare nel percorso democratico dell’Iraq. Il paese deve portare a termine il processo di formazione del suo governo e noi speriamo che il primo ministro Maliki non faccia niente per rendere turbolento questo percorso». La situazione è ulteriormente confusa dal fatto che la televisione di stato ha diffuso la notizia che la corte suprema irachena (il più importante tribunale del paese) avrebbe dato ragione a Maliki. Secondo la corte il presidente Masum sarebbe obbligato ad offrire a Maliki la guida di un nuovo governo. Un portavoce della corte, pochi minuti dopo, ha precisato che il presidente è tenuto ad affidare l’incarico al partito che ha ottenuto più seggi in parlamento, senza specificare quale.
Maliki è primo ministro dell’Iraq dal 2006 e le sue politiche settarie, in particolari quelle iniziate dopo il ritiro degli Stati Uniti nel 2011, sono da molti analisti considerate la principale causa dei successi dello Stato Islamico, l’organizzazione di fondamentalisti sunniti conosciuta in passato come ISIS che ha conquistato gran parte del nord dell’Iraq (lo Stato Islamico opera anche nella Siria orientale, al confine con le zone dell’Iraq già conquistate). L’Iraq è un paese a maggioranza sciita ma con una forte minoranza di religione sunnita (e un ulteriore minoranza sunnita, ma non araba: i curdi). Maliki è accusato di aver governato in maniera autoritaria e di aver favorito gli sciiti, per esempio rimuovendo funzionari e ufficiali sunniti e sostituendoli con i suoi fedelissimi. Questa situazione ha alienato le simpatie dei sunniti nei confronti del governo. Decine di migliaia di militari sunniti si sono arresi senza combattere ai miliziani dello Stato Islamico anche per la mancanza di fiducia nei confronti dei loro ufficiali sciiti (che, a quanto pare, in molti casi sono stati i primi a fuggire, come si è visto durante la caduta di Mosul, lo scorso giugno).
Maliki è molto criticato sia in patria che all’estero. Diverse componenti del parlamento hanno chiesto le sue dimissioni, così come lo hanno fatto i più moderati tra gli sciiti, come l’ayatollah Ali al Husseini al Sistani, la guida suprema degli sciiti in Iraq. Anche gli Stati Uniti hanno fatto diverse pressioni per spingere Maliki alle dimissioni e permettere la formazione di un governo di unità nazionale, che comprenda cioè, oltre alla maggioranza sciita, anche esponenti degli arabi sunniti più moderati e dei curdi. Maliki ha rifiutato di dimettersi e ha continuato a cercare di formare un terzo governo, finora senza successo.