I dubbi sul numero di morti a Gaza
Negli ultimi giorni New York Times e BBC hanno spiegato perché bisogna maneggiare con cautela i numeri sui civili morti nella Striscia di Gaza
Dall’inizio dell’operazione Margine di Protezione, l’attacco via aria e via terra compiuto dall’esercito israeliano nella Striscia di Gaza, 1.939 palestinesi sono uccisi e, secondo l’ONU, almeno 1.402 erano civili. Negli ultimi giorni, però, questi dati sono stati messi in dubbio da alcuni dei più importanti media internazionali: BBC e New York Times hanno sostenuto che è ora di cominciare a usare un po’ di cautela nell’utilizzare questi numeri per trarre conclusioni definitive.
Raccogliere dati in una situazione di guerra non è mai facile. Nella Striscia di Gaza la principale organizzazione che se ne occupa è il ministero della Salute, che a sua volta riceve i dati dai singoli ospedali sparsi per la Striscia. Il ministero raccogliere il numero dei morti e dei feriti, i loro nomi, il sesso e le età. L’ONU e alcune ONG fanno un lavoro simile, partendo in genere dai dati del ministero, e forniscono anche una stima – accompagnata quasi sempre da molti caveat e cautele – del numero di miliziani e di quello dei civili uccisi. Per molte settimane questi numeri sono stati utilizzati dai media di tutto il mondo, compresi alcuni israeliani (Haaretz, uno dei principali quotidiani israeliani, utilizza tuttora i dati dell’ONU sul numero totale delle vittime).
Sin dal primo giorno delle operazioni, queste cifre sono state contestate dall’esercito e dal governo israeliano. Alle critiche israeliane negli ultimi giorni si sono aggiunti i dubbi di New York Times e BBC. I problemi sono in sostanza tre: il primo è che la principale fonte sul numero totale dei morti è il governo di Gaza, cioè Hamas, che dal 2007 ha cacciato Fatah e governa la Striscia in completa autonomia. Se questo non significa automaticamente che i dati sono falsi, vuol dire comunque che è necessario trattarli con cautela. Il secondo problema è che il metodo con cui l’ONU e le altre ONG calcolano il numero di morti civili e quello dei miliziani non è chiaro né trasparente. Il terzo e ultimo problema è che nelle statistiche ci sono molti più morti tra maschi di età tra i 20 e i 29 anni di quanti ci si dovrebbe aspettare nel caso di attacchi “indiscriminati” o addirittura mirati ai civili (ci torneremo tra poco).
Il New York Times è stato il primo grande giornale internazionale a sollevare dei dubbi su questi dati: ha intervistato Matthias Behnke, un funzionario delle Nazioni Unite e gli ha chiesto come fa l’ONU ad elaborare le sue stime su quanti sono i civili uccisi e quanti sono invece i miliziani. Behnke ha risposto che la stima si ottiene incrociando i dati forniti da diverse ONG e quindi svolgendo ulteriori controlli, ma ha rifiutato di spiegare quali e quante organizzazioni vengono utilizzate per elaborare questi dati e la metodologia che l’ONU segue per svolgere i suoi ulteriori controlli. Anche BBC ha intervistato Behnke, che ha aggiunto qualche dettaglio sulla metodologia seguita dall’ONU pur senza entrare nei dettagli (uno dei modi che vengono utilizzati per determinare chi sono i miliziani, ha spiegato, è confrontare i nomi delle persone uccise con i nomi di miliziani noti all’esercito e all’intelligence israeliani). La conclusione di BBC è che la quantità di civili uccisi è al momento molto dubbia e che alcune delle conclusioni che in queste settimane sono state tratte da queste cifre potrebbero essere premature (a questo proposito bisogna tenere presente che in moltissimi video e testimonianze di giornalisti i miliziani di Hamas vengono mostrati in abiti civili, senza segni che li rendano chiaramente distinguibili dai civili).
Sia BBC che New York Times sospettano di queste cifre non solo perché la metodologia con la quale vengono elaborate è dubbia (non a caso la stessa ONU specifica che si tratta di cifre preliminari e soggette a ulteriori elaborazioni). Il problema è anche la distribuzione dei morti all’interno delle fasce di popolazione nella Striscia di Gaza (un tema su cui qualche settimana fa aveva scritto anche Davide De Luca sul suo blog). Partiamo dall’inizio: il ministero della salute di Gaza – controllato da Hamas, come abbiamo visto – comunica ad Al Jazeera e ad altri media arabi non solo il numero dei morti, ma anche altre informazioni, come il nome, l’età, il sesso delle persone uccise.
Il New York Times (come hanno fatto molti altri siti e blog in queste settimane) ha analizzato i dati e ha diviso le persone uccise a Gaza in base al sesso e alle fasce d’età, scoprendo che i maschi tra i 20 e i 29 anni (cioè gli abitanti della Striscia che hanno più probabilità di essere membri di una milizia) rappresentano il 34 per cento dei morti, ma soltanto il 7 per cento della popolazione della Striscia. Le donne, che sono circa il 50 per cento degli abitanti, rappresentano il 27 per cento dei morti. Facendo alcuni calcoli, risulta che le possibilità che questa distribuzione così sbilanciata sia frutto semplicemente di un caso sono di circa lo 0,01 per cento.
In altre parole, come scrive anche BBC, i giovani tra i 20 e i 29 anni sono sovrarappresentati nelle statistiche delle persone uccise, il che sembra incompatibile con l’accusa mossa da Hamas e da diverse ONG di “attacchi indiscriminati” (cioè senza nessuna distinzione tra obiettivi militari e civili) compiuti da Israele. BBC ammette che ci sono ricerche che mostrano come i maschi giovani (anche civili) siano più esposti ai pericoli della guerra rispetto alle donne o ai maschi più anziani, perché tendono a esporsi a più rischi per lavorare o per proteggere le loro famiglie. Non è chiaro però se questo maggiore rischio possa spiegare le perdite così sbilanciate subite proprio dagli abitanti in età militare della Striscia di Gaza.