In Iraq i curdi combattono l’IS
Mentre gli Stati Uniti hanno di nuovo bombardato alcuni obbiettivi dello Stato Islamico e Obama ha detto che l'operazione potrebbe «durare mesi»
Domenica 10 agosto ci sono stati diversi combattimenti tra la milizia curda dei Peshmerga e i miliziani dell’IS lungo tutto il confine del Kurdistan iracheno: da sud, a poche centinaia di chilometri da Baghdad, fino a nord-ovest, al confine con la Siria. Negli ultimi giorni l’IS era riuscito a conquistare diverse città sorvegliate dai Peshmerga e ad arrivare a circa 40 chilometri dalla capitale del Kurdistan. Secondo il governo curdo i Peshmerga hanno riconquistato la città di Gwer, nel distretto Makhmour (il punto più vicino alla capitale del Kurdistan Erbil che gli uomini dell’IS sono riusciti a raggiungere). Questi attacchi sono stati appoggiati dall’azione degli aerei americani che hanno colpito alcuni veicoli e postazioni di artiglieria. Ci sono stati anche combattimenti ad ovest, vicino al Jebel Sinjar, dove sono rifugiate decine di migliaia di yazidi (una minoranza curda che segue una religione molto particolare) e nel sud, a Jalawla, dove gli stessi Peshmerga hanno dovuto ammettere che i combattimenti sono ancora molto duri.
L’attacco via terra è stato preceduto ieri da un’altra serie di attacchi aerei compiuti dall’aviazione americana. Nella sera di sabato 9 agosto il dipartimento della Difesa statunitense ha confermato una serie di attacchi aerei in Iraq ad alcuni obiettivi militari dello Stato Islamico, il gruppo estremista sunnita prima conosciuto come ISIS. Caccia e droni americani hanno colpito due veicoli da trasporto truppe che i miliziani dello Stato Islamico stavano usando per sparare sui civili rifugiati da giorni sul monte Sinjar. Altri caccia hanno attaccato tre veicoli a trasporto truppe e un furgone pieno di armi, sempre appartenenti allo Stato Islamico. Tutti gli aerei americani sono rientrati senza avere subito danni o perdite, ha detto il dipartimento della Difesa.
Gli Stati Uniti hanno anche fatto sapere di avere completato il terzo lancio di cibo e acqua sul monte Sinjar, per aiutare le famiglie yazidi intrappolate nella zona e minacciate dai miliziani dello Stato Islamico. La missione è stata compiuta da due aerei cargo, scortati da caccia americani: con gli aiuti di questa notte gli americani hanno fornito alla popolazione irachena oltre 52mila pasti e 10.600 galloni di acqua.
Sabato per la prima volta il presidente statunitense Barack Obama ha parlato della questione dell’intervento americano in Iraq. Secondo il New York Times, il suo discorso «potrebbe sollevare nuove domande, specialmente tra quelli che hanno paura che la missione potrebbe spingere lentamente gli Stati Uniti verso un più robusto coinvolgimento nel paese [in Iraq, ndr]». Obama non ha dato dei tempi precisi per l’intervento, ma ha detto che le operazioni aeree potrebbero anche andare avanti “per mesi”: diversi repubblicani, comunque, hanno già attaccato Obama, accusandolo di avere avviato un intervento troppo “morbido” e con obiettivi troppo “limitati”. John McCain, senatore repubblicano sempre molto critico nei confronti della politica estera di Obama, ha detto che gli Stati Uniti dovrebbero puntare su un’operazione che portasse all’eliminazione della “più ricca e potente organizzazione terroristica nella storia”, cioè lo Stato Islamico.
In un’intervista data all’opinionista Thomas Friedman e pubblicata sul New York Times sabato 9 agosto, Obama è tornato a criticare molto anche il governo sciita dell’Iraq di Nuri al-Maliki, che in molti considerano primo responsabile del fallimento dello stato iracheno e della conseguente avanzata dello Stato Islamico. Obama ha detto che gli Stati Uniti non interverranno nel paese per essere una sorta di “aviazione irachena” a disposizione degli interessi della fazione sciita di al-Maliki, o di qualcun altro. In pratica l’obiettivo degli Stati Uniti continua a essere quello di sostituire il primo ministro al-Maliki e di non favorire le sue politiche settarie contro i sunniti e i curdi. Obama poi ha aggiunto:
«Il punto su cui abbiamo bisogno di concentrarci è che abbiamo una minoranza sunnita scontenta nel caso dell’Iraq, una maggioranza sunnita scontenta nel caso della Siria, che formano quindi un gruppo sunnita scontento che si estende essenzialmente da Baghdad a Damasco… A meno che non diamo loro una soluzione che risponda alle aspirazioni di questa popolazione, avremo inevitabilmente dei problemi… Sfortunatamente, c’è stato un periodo durante il quale la maggioranza sciita in Iraq non ha capito pienamente questo punto. Sta cominciando a capirlo ora. Ma sfortunatamente, abbiamo ancora lo Stato Islamico dell’Iraq e del Levante che nonostante abbia ancora poco appeal sui sunniti “ordinari” è stato in grado di colmare dei vuoti. E la questione per noi non deve essere semplicemente come contrattaccare militarmente, ma anche come parlare alla maggioranza sunnita.»