Come ha fatto la Spagna a ripartire?
L'austerità di Rajoy ha funzionato? Le cose vanno meglio, le stime di crescita sono state riviste al rialzo, ma secondo diversi analisti è ancora presto per parlare di "svolta"
Il Fondo Monetario Internazionale ha rivisto al rialzo le stime del PIL spagnolo per il 2014: il tasso di crescita previsto è infatti passato dallo 0,9 per cento delle previsioni di tre mesi fa all’1,2 per cento. Secondo l’analisi dell’FMI, dopo la grave crisi del 2011 il paese si è infatti avviato verso la ripresa – tanto che il settimanale britannico Economist, a fine giugno, aveva dedicato un articolo al paese intitolandolo “Il rimbalzo spagnolo, una ripresa sorprendentemente forte guidata dalle esportazioni”. Uscita dalla recessione nell’ottobre del 2013, la Spagna ha già registrato quattro trimestri consecutivi di PIL in aumento.
In Spagna, si spiega nella relazione dell’FMI, sono migliorate sia la crescita che la disoccupazione, che resta molto alta ma che è in calo: circa 400 mila persone hanno trovato lavoro nel secondo trimestre del 2014. Sono migliorate le esportazioni – più 8,1 per cento già a marzo, soprattutto verso i cosiddetti paesi emergenti – e anche la solidità del sistema finanziario; gli investimenti delle imprese si stanno riprendendo, sono aumentati quelli diretti dall’estero. Alcuni grandi gruppi produttori di auto come Ford o Renault hanno aumentato la loro produzione nel paese, attratti da costi più bassi rispetto a quelli di altri paesi o dalla flessibilità del mercato del lavoro. In generale hanno cominciato a recuperare terreno anche i consumi privati, grazie al miglioramento delle prospettive occupazionali e a una maggiore fiducia nell’economia del paese.
A tutto questo, spiega l’FMI, ha contribuito un vasto programma di riforme, alcune concluse, alcune ancora in corso, ma tutte basate sulla cosiddetta “austerità”: il mercato del lavoro è stato reso più flessibile (sono stati ridotti della metà, per esempio, i costi dei licenziamenti per le imprese in difficoltà), sono aumentate le tasse per rafforzare le entrate fiscali (come quelle universitarie); gli ammortizzatori sociali, gli investimenti pubblici e i costi della pubblica amministrazione sono stati tagliati, il settore finanziario è stato reso più solido (anche grazie al prestito da 41 miliardi di euro alle banche da parte dell’UE e della BCE) ed è stato rivisto il sistema pensionistico. Tutti questi interventi hanno causato nel paese manifestazioni e proteste, ma hanno anche permesso di ottenere dall’Unione Europea un allungamento dei tempi di rientro dal deficit. Solo quest’anno, dopo i dati rassicuranti sul PIL e l’avvicinarsi delle prossime elezioni, il governo di Mariano Rajoy ha annunciato un cambiamento di rotta: una nuova riforma fiscale dopo l’estate e che prevede, stavolta, dei tagli alle tasse.
La legislatura del governo spagnolo guidato da Mariano Rajoy, conservatore del Partito Popolare in carica dalla fine del 2011, terminerà nel 2015 e può contare su un’ampia maggioranza in Parlamento. Anche questo elemento ha facilitato il percorso delle riforme e contribuito a dare una certa stabilità politica al paese. Nonostante l’impopolarità di molte decisioni, il conseguente calo di consensi, e gli scandali che hanno colpito il Partito Popolare a proposito di una serie di finanziamenti illegali, gli analisti politici considerano molto improbabile una fine anticipata del mandato di Rajoy o una imminente crisi politica.
Molti dati dell”economia spagnola restano comunque preoccupanti e nella relazione dell’FMI sono spiegati: innanzitutto quello sulla disoccupazione, che è circa al 25 per cento. Risulta inoltre che la maggior parte dei disoccupati lo sono da almeno un anno, che il mercato del lavoro resta estremamente frammentato e che una grande percentuale di lavoratori dipendono da un contratto temporaneo o part-time che, a causa della crisi, hanno comunque accettato. La qualità generale della vita è diminuita e su tutto questo pesa anche la situazione del debito pubblico.
Per questo motivo diversi analisti sono piuttosto cauti nel parlare di vera e propria “ripresa”. L’economista Edward Hugh, per esempio, ha definito “fuorviante” il titolo della relazione dell’FMI sulla Spagna (“La Spagna ha voltato pagina”). Hugh spiega che una ripresa spagnola è innegabile ma anche che è «fragile» e basata su un equilibrio difficile da mantenere. Un esempio per tutti: le esportazioni spagnole – il principale elemento che influisce sulla positività dei dati – in termini reali dallo scorso settembre hanno smesso di crescere. L’economista afferma inoltre che andrebbe posta attenzione non alle dinamiche economiche del paese a breve termine, ma al suo potenziale di crescita misurato sul lungo termine. Suggerisce pertanto cautela affermando che un titolo più corretto per la relazione dell’FMI sarebbe: “Sempre meglio, ma non ancora fuori dai guai”.
L’analista finanziario Mario Seminerio, nel suo blog, ribadisce gli stessi concetti:
(…) il Pil nominale spagnolo, che nel 2013 si è contratto, ora sta (forse) crescendo ma in modo molto lieve; il costo medio del debito pubblico spagnolo, pur facendo segnare in questi giorni i minimi degli ultimi duecento anni, resta superiore alla crescita del Pil nominale; sapendo che la Spagna continua ad avere un ampio deficit pubblico primario (cioè la differenza tra entrate e spesa pubblica, esclusi interessi), ciò significa che il rapporto di indebitamento spagnolo continua a crescere, restando al momento su traiettoria non confortante.
Quindi, per l’ennesima volta: occhio ai numeri ed alle inferenze, soprattutto tra grandezze reali e nominali, in questa Era Deflazionistica europea. Se siete editorialisti di giornaloni italiani potete ululare al miracolo spagnolo e dire che l’Italia è rimasta indietro nelle riforme (verissimo, ma serve comunque intendersi sul concetto di riforme); se invece siete personcine raziocinanti e riflessive, prendete il tutto cum grano salis o con a pinch of salt, come direbbero a Lambrate.