La Libia è nel caos
Lo è dalla caduta di Gheddafi, ma le cose sono peggiorate molto negli ultimi mesi: decine di fazioni si scontrano tra loro e con l'esercito (e rischia di rimetterci anche l'Italia)
In Libia i membri del nuovo parlamento, eletto lo scorso 25 giugno, si trovano da qualche giorno nella città di Tobruk, all’estremo est del paese, quasi al confine con l’Egitto. Sono ospitati in un hotel della città e l’edificio è presidiato da centinaia di militari e di miliziani pagati dal ministero della Difesa o da quello dell’Interno. La sede ufficiale del parlamento dovrebbe essere nella capitale Tripoli, oppure a Bengasi, la seconda città del paese. Entrambe le città, però, sono oramai finite sotto il controllo di gruppi armati che tra loro hanno obiettivi e ideologie diverse. Di fatto, il parlamento e l’attuale governo ad interim controllano soltanto Tobruk e forse soltanto l’hotel dove lunedì dovrebbe cominciare ufficialmente la nuova sessione del parlamento. L’obiettivo dei 200 parlamentari è quello di eleggere un nuovo governo che possa affrontare l’immenso compito di riportare ordine nel paese.
Come siamo arrivati qui?
Non si tratta di una faccenda facile da sbrigare perché la situazione del paese è un vero caos. Non bastano le dita di due mani per contare le fazioni e le milizie armate che si stanno scontrando le une con le altre, dividendosi e riunendosi in alleanze che continuano a cambiare e che è quasi impossibile riuscire a seguire (ci ha provato BBC che ha scritto una specie di guida alle milizie libiche). Dall’inizio: il regime di Muhammar Gheddafi è caduto nell’estate del 2011 dopo una guerra civile accompagnata da un intervento aereo occidentale: i ribelli formavano una coalizione molto eterogenea di milizie che spesso rappresentavano i numerosi gruppi tribali nei quali è divisa la popolazione libica (ci sono circa 140 “tribù” in Libia). Nei primi mesi, e poi nei primi anni, dopo la caduta di Gheddafi, i vari governi di transizione che si sono succeduti hanno cercato di imporre la loro autorità sulle diverse milizie tentando di disarmarne alcune e di integrarne altre nelle forze armate. Gli sforzi dei governi, tuttavia, non hanno avuto molto successo: le amministrazioni centrali si sono sempre dimostrate troppo deboli e il parlamento troppo diviso per imporsi sui gruppi spesso più organizzati e meglio armati dell’esercito nazionale.
La crisi di maggio
Negli ultimi mesi questa caotica situazione è diventata ulteriormente complicata. Il 16 maggio il generale Khalifa Belqasim Haftar, un comandante dell’esercito libico, ha proclamato l’inizio dell’Operazione Dignità, un’offensiva aerea e terrestre contro una serie di milizie di matrice islamica particolarmente forti nell’est del paese (la Cirenaica, la regione dove si trova Bengasi). Due giorni dopo, il 18 maggio, i soldati fedeli al generale hanno attaccato il parlamento di Tripoli e lo stesso generale ha annunciato di averne sospeso i lavori (che in realtà sono continuati con molte difficoltà). L’offensiva di Haftar non è stata autorizzata dal governo centrale e molti libici accusano il generale di aver messo in atto un vero e proprio colpo di stato. L’esercito si è diviso e numerose formazioni si sono schierate a fianco del generale.
L’attacco al governo e al parlamento da parte di Haftar si può spiegare in parte con il fatto che gli ultimi due primi ministri, Abdullah al-Thani e Ahmed Maiteeq, sono considerati in qualche misura “appoggiati” dagli islamisti. Ma qui le cose si complicano ancora di più, e parecchio. In Libia, attualmente, il fronte dei partiti e delle milizie islamiste appare molto frammentato e in qualche misura “distinto” dalle forze regolari del governo. Il 30 luglio, ad esempio, una di queste milizie ha occupato Bengasi dopo aver conquistato alcune caserme di soldati fedeli ad Haftar e ha proclamato la nascita di un Emirato islamico.
Questo gruppo si chiama Ansar al-Sharia ed è una milizia islamica fondamentalista vicina ai salafiti, una corrente molto estrema dell’islam sunnita. In questo senso Ansar al-Sharia è distinta da molte altre formazioni islamiche, come ad esempio il ramo libico dei Fratelli Musulmani che è piuttosto forte in parlamento e che, per il momento, sembra appoggiare il governo ad interim di al-Thani. Per riassumere la situazione nell’est del paese, quindi: Bengasi sembra essere di fatto controllata da milizie di estremisti islamici. A Tobruk il parlamento è in riunione: le formazioni islamiche più estremiste e quelle più moderate (legate ai Fratelli Musulmani) sono diventate una minoranza dopo le ultime elezioni, ma il governo ad interimi di al-Thani è ancora considerato più vicino a questi gruppi che alla maggioranza laica delle forze presenti in parlamento.
Dall’altra parte del paese, a Tripoli, sono in corso da settimane diversi scontri. Non è chiaro chi comandi in città, ma sembra che qui siano più forti le milizie che appoggiano il terzo attore di questa complicata vicenda, il generale Haftar (che come abbiamo visto, sembra essersi schierato contro tutti gli islamisti: sia quelli estremi che quelli moderati, quelli che formano milizie e quelli che sono stati eletti al parlamento). In particolare, ci sono stati durissimi scontri intorno all’areoporto di Tripoli tra una nuova milizia islamista chiamata “Fajr Libya” (che dichiara di essere dalla parte del governo) e altre milizie “laiche” (che a loro volta dichiarano di essere dalla parte del governo e che sono effettivamente finanziate dal ministero della Difesa). A rendere il quadro ancora più confuso c’è il fatto che non è chiaro quale sia l’atteggiamento di questi gruppi nei confronti del generale Haftar e delle sue forze. In questi scontri è stato anche danneggiato un grande serbatoio di petrolio vicino all’aeroporto.
La Libia, comunque, è un paese molto diviso da sempre. Semplificando, si può dire che la Libia è costituita da due grandi regioni: a ovest c’è la Tripolitania, con la capitale Tripoli. Durante la guerra del 2011 gran parte della regione era considerata una roccaforte delle forze fedeli a Gheddafi (con l’eccezione della città di Misurata, una delle prime a ribellarsi, le cui milizie sono ancora una forza molto importante nel paese). A est c’è invece la Cirenaica, la cui città più importante è Bengasi. Durante la guerra civile, Bengasi era considerata la “capitale” degli insorti. Le due regioni sono separate dal Golfo della Sirte e da un’ampia fascia di deserto, quasi disabitata, il che rende Tripolitania e Cirenaica lontane anche geograficamente.
E l’Italia?
L’incendio al deposito vicino all’aeroporto di Tripoli è durato diversi giorni e ha messo chiaramente in mostra un altro rischio che corre il paese a causa della sua instabilità: il blocco del suo settore energetico, di fatto l’unica fonte di entrata per il governo e per l’intero paese. Durante la guerra civile nel 2011 la produzione venne sostanzialmente interrotta, ma gli impianti vennero quasi tutti risparmiati dai danni. Negli ultimi anni le esportazioni di gas e petrolio sono tornate a crescere, anche se non hanno mai raggiunto i livelli di prima della guerra. Questa situazione tocca direttamente gli interessi dell’Italia che importa il 10 per cento del suo fabbisogno di gas naturale proprio dalla Libia (negli ultimi giorni è anche circolata una voce, poi smentita, che il governo italiano stesse inviando degli aiuti per contribuire a combattere l’incendio al deposito di carburante di Tripoli). Tuttora il governo italiano è uno degli ultimi a mantenere una presenza diplomatica a Tripoli.
Questa relazione tra Italia e Libia ha creato un po’ di allarmismo nelle ultime settimane. Il timore è che la situazione in Libia causi un’interruzione delle forniture di gas all’Italia, mentre contemporaneamente la crisi ucraina causi un’interruzione delle forniture di gas russo, un altro partner molto importante per l’Italia. La crisi andrebbe comunque inserita nelle giuste proporzioni: nel corso degli ultimi tre anni la produzione di gas libico è sempre stata intermittente. Scontri tra milizie, scioperi e proteste hanno spesso interrotto le forniture che, nel loro complesso, non hanno mai raggiunto i livelli di prima della guerra. Inoltre, in caso di interruzioni dalla Libia, l’Italia potrebbe almeno in parte aumentare le proprie importazioni dagli altri partner, come ad esempio l’Algeria che ha ancora grandi riserve di gas intatte (negli ultimi anni l’Algeria ha diminuito le sue esportazioni di gas, principalmente per il calo di domanda da parte dei suoi due principali partner, Italia e Spagna, duramente colpiti dalla crisi economica). A questo proposito, l’ex presidente dell’ENI, Paolo Scaroni, ha dichiarato all’inizio della crisi libica che l’Italia può facilmente fare fronte alle interruzioni di gas da parte di uno dei suoi partner.