La “Google Tax” spagnola
È stata approvata alla Camera, ora tocca al Senato: potrebbe costringere aggregatori come Google News a pagare un compenso agli editori per l'uso dei loro contenuti
Martedì 22 luglio la commissione Cultura del Congresso dei deputati spagnolo – la Camera bassa del parlamento spagnolo – ha approvato in seduta straordinaria una proposta di riforma della “Legge sulla Proprietà Intellettuale”, che tra le altre cose ridefinisce il rapporto tra i siti di news e gli aggregatori e motori di ricerca di news, introducendo quella che è già da tempo stata definita dai media anglosassoni la “Google Tax” spagnola. Il provvedimento, che dovrà essere discusso al Senato prima dell’approvazione definitiva, è stato ampiamente criticato sia per il contenuto della legge in sé – ancora non del tutto chiaro – sia per il fatto che l’approvazione alla Camera è avvenuta durante una sessione definita “caotica e frettolosa, per un argomento molto importante”, senza un reale dibattito e senza che molti deputati fossero adeguatamente informati sul contenuto della legge.
La proposta di legge è stata fortemente promossa lo scorso febbraio dall’AEDE (Asociación de Editores de Diarios Españoles), l’associazione che riunisce i principali editori in Spagna, e che – come simili associazioni, o anche singoli editori, di altri paese europei – aveva proposto di introdurre l’obbligo per gli aggregatori di notizie di pagare una tassa per utilizzare i contenuti o parte dei contenuti prodotti dai siti gestiti dagli editori del circuito AEDE (per questo motivo la tassa in Spagna è nota come il “Canon AEDE”, mentre nella stampa anglosassone circola come “Google Tax”). Non è ancora chiaro quali saranno gli aggregatori di contenuti e/o i social network interessati da questo provvedimento ma secondo le interpretazioni più accreditate a pagarne maggiormente le conseguenze potrebbe essere Google News, il servizio online offerto da Google come aggregatore che indicizza le notizie principali dalle fonti giornalistiche disponibili in rete.
La riforma della legge integra, tra le altre cose, l’articolo 32 della legge precedente, del 1996: stabilisce che gli editori non possono negare l’uso di “frammenti non significativi dei loro articoli”, e riconosce a loro il “diritto inalienabile” di ottenere un compenso per questo. In molti hanno fatto notare che la legge spagnola sembra tenere in considerazione quanto appreso seguendo il modello della legge tedesca sul copyright, che nel 2013, costringendo di fatto gli aggregatori a pagare un tributo, portò Google a rimuovere i link dal suo servizio Google News: il traffico dei siti di news scese notevolmente, e quindi il motore di ricerca, su richiesta dei giornali stessi, riuscì a ottenere un esonero dall’obbligo di pagare la tassa. Molti commentatori ritengono che, introducendo l’idea di “diritto inalienabile”, la legge spagnola di fatto introdurrebbe l’obbligo di richiedere il compenso da parte dei giornali.
I siti che si rifiutino di pagare un “equo compenso” all’editore potrebbero essere multati fino a 300 mila euro, e alcuni studi calcolano che l’introduzione di questa norma potrebbe costare alle aziende del web una perdita complessiva di 1,13 milioni di euro all’anno. Il testo della legge lascia diversi punti poco chiari, ma stabilisce che la raccolta dei compensi sarà gestita da una terza parte, esterna, un gruppo che verosimilmente dovrebbe includere vari componenti della AEDE stessa.
Uno dei punti più oscuri e contestati della legge è che non sembra fare alcuna differenza tra aggregatori di news – come Google News – e siti o blog che citino parti più o meno estese dei contenuti. Inoltre non è del tutto chiaro cosa debba intendersi per frammenti “significativi” o “non significativi”, e si ritiene che questo aggettivo presenti una variabilità di interpretazione troppo ampia per una questione così importante. Intanto il governo ha specificato che i social network come Facebook e Twitter non sarebbero eventualmente interessati dal provvedimento, ma resta da chiarire l’eventuale posizione di aggregatori come Digg o Reddit, o servizi come Flipboard e Pocket (ma anche quella di aggregatori molto popolari in Spagna, come Menéame).
Google aveva già fatto sapere che un’eventuale approvazione di questa legge la porterebbe a rimuovere i link da Google News, e nella stessa occasione ricordò che non trae ricavi diretti da Google News, servizio che non presenta contenuti pubblicitari e da cui peraltro qualsiasi sito di news può decidere di essere escluso apportando delle modifiche al codice del proprio sito.