Gli scontri in Xinjiang, Cina
Risalgono al 28 luglio e sono avvenuti tra polizia e uiguri, ha detto un'agenzia stampa statale cinese: ma alcune associazioni umanitarie contestano la ricostruzione del governo
Quasi cento persone sono morte nella regione dello Xinjiang, nell’ovest della Cina, per una serie di scontri tra polizia e uiguri, la minoranza cinese di religione musulmana che da moltissimo tempo chiede maggiore indipendenza dal governo centrale di Pechino. Queste cifre sono le ultime diffuse dall’agenzia statale cinese Xinhua relative a una serie di scontri avvenuti il 28 luglio quando, secondo il governo cinese, circa 215 uiguri hanno compiuto una serie di attacchi con coltelli e asce nelle città di Elixku e Huangdi. Trentasette civili sono stati uccisi negli attacchi, mentre 59 uiguri sono stati uccisi dalla polizia, ha detto Xinhua.
Non è la prima volta che estremisti uiguri compiono attacchi del genere, a volte con esplosivi, ma molto spesso utilizzando asce e pugnali. Alcuni gruppi che operano per la difesa dei diritti degli uiguri, però, hanno contestato la ricostruzione ufficiale del governo: secondo un’associazione di uiguri residenti negli Stati Uniti, al momento degli scontri era in corso una manifestazione pacifica per protestare contro la repressione cinese. Le tensioni tra gli uiguri e i cinesi han (il gruppo etnico maggioritario in Cina), che il governo spinge a immigrare in gran numero nello Xinjiang nel tentativo di “sinizzare” la regione, sono cresciute molto negli ultimi mesi e ancora più rapidamente nelle ultime settimane. Mercoledì scorso nella capitale Kashgar è stato assassinato Jume Tahir, 74 anni, che era stato nominato dal governo cinese imam della più grande moschea del paese ed era considerato favorevole al governo.
Gli uiguri sono la minoranza musulmana e turcofona che vive nello Xinjiang, regione in gran parte costituita da deserti nel nord ovest della Cina dove circa il 91 per cento della popolazione è di etnia han. Lo Xinjiang, che significa “Nuova Frontiera”, è stato portato sotto il completo controllo della Cina nel 1949: confina con otto stati (India, Pakistan, Russia, Mongolia, Kazhakistan, Afghanistan, Tagikistan e Kirghizistan) e rappresenta per questo un passaggio obbligato per gli scambi commerciali con l’Asia Centrale e l’Europa. Inoltre è molto ricco di gas e petrolio. La capitale è Urumqi; un altro centro molto importante a grande maggioranza uigura è Lukqun a circa 200 chilometri a sud est della capitale. Nella regione sono frequenti da molti anni proteste contro il regime di Pechino e scontri etnici: gli uiguri non accettano la presenza dei cinesi han nella regione e denunciano da tempo le repressioni e le discriminazioni subite per mano del governo.
Gli scontri più violenti tra han e uiguri, con una conseguente durissima repressione da parte della polizia, risalgono al 2009: a Urumqi quasi 200 persone rimasero uccise e oltre 1600 ferite. Sulle motivazioni di quella rivolta non si hanno molte notizie: quel che si sa per certo è che la regione venne isolata e vennero interrotte anche le linee telefoniche. Altri episodi di rivolta e violenza si sono verificati nell’aprile di quest’anno a Kashgar, con un bilancio di 21 morti, e a giugno quando la polizia ha aperto il fuoco contro un gruppo di persone che avevano attaccato la stazione di Lukqun (le vittime furono 27).