L’ebola si sta diffondendo velocemente
I morti causati dal virus sono saliti a 729, tra cui diversi medici e operatori sanitari, e in alcuni casi sono state le strutture inadeguate a complicare i piani di emergenza
Venerdì 1 agosto, durante un incontro con i presidenti di Guinea, Liberia e Sierra Leone a Conakry, in Guinea, il direttore generale dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (WHO) Margaret Chan ha annunciato che l’epidemia di ebola in corso nell’Africa occidentale – la peggiore di sempre, secondo medici e operatori sanitari – “si sta diffondendo più velocemente dei tentativi di controllarla”, e che “se la situazione continuerà a peggiorare, le conseguenze potrebbero essere catastrofiche in termini di morti ma anche di crisi socio-economica e di rischio di diffusione del virus in altri paesi”. In Liberia, Sierra Leone, Nigeria e Guinea (il paese più colpito di tutti), dallo scorso febbraio ci sono stati 1.323 casi di ebola e 729 morti: mai nella storia l’ebola aveva provocato la morte di così tante persone.
Negli ultimi giorni una maggiore preoccupazione per l’epidemia, in un contesto già piuttosto allarmato, si è diffusa in seguito alla notizia della morte di Sheik Umar Khan, un medico della Sierra Leone tra i più impegnati a combattere l’ebola nel paese: Umar Khan è morto dopo aver contratto lui stesso il virus. Il virus sta infettando “un gran numero di medici, infermieri e altri operatori sanitari, una delle risorse più importanti per cercare di contenere l’epidemia”, ha detto Margaret Chan, aggiungendo che a oggi più di 60 operatori sanitari sono morti di ebola. Due operatori americani sono stati rimpatriati dopo essere stati contagiati in Liberia, e si ritiene che saranno i primi casi di ebola mai curati negli Stati Uniti: saranno trattati all’Emory University Hospital di Atlanta, in Georgia. Centinaia di altri operatori americani sono stati allontanati dalle regioni dell’Africa occidentale colpite dall’epidemia. Venerdì è stato riferito che alcune decine di sportivi della Sierra Leone impegnati ai Giochi del Commonwealth temono di rientrare nel loro paese a causa dell’epidemia.
Secondo Chan, i precedenti storici degli ultimi quarant’anni in Africa dimostrano che, se ben gestita, un’epidemia di questo genere può essere comunque arrestata. L’Organizzazione Mondiale della Sanità ha ribadito che non esiste una cura né un vaccino, e che il contagio non avviene per via aerea ma soltanto tramite il contato con materiali o persone infetti (anche da morte). Il rischio maggiore tuttavia è che il virus subisca continue mutazioni grazie alla rapida e incontrastata circolazione in aree sempre più estese, e che la popolazione che ne è affetta non ricorra alle prescrizioni mediche mettendo a rischio la salute di un sempre maggiore numero di persone.
La variante del virus ebola più pericolosa – proprio quella che ha causato l’epidemia in Africa – presenta una mortalità che può arrivare fino al 90 per cento, ma secondo Chan “una diagnosi precoce e una rapida attuazione del protocollo terapeutico aumentano le possibilità di sopravvivenza”, ed è questo l’aspetto che occorre comunicare più efficacemente alla popolazione – in larga parte molto povera – per indurre le persone che mostrano i primi sintomi a ricorrere subito all’assistenza sanitaria (al contrario, finora ci sono stati moltissimi casi di pazienti contagiati che sono fuggiti dagli ospedali, spesso con l’aiuto delle famiglie).
C’è anche un problema di adeguatezza delle strutture e degli strumenti utilizzati per cercare di contrastare questa epidemia, ha spiegato Chan: occorre una mappatura accurata e dettagliata della circolazione del virus in Africa, e tutti i paesi potenzialmente interessati dall’epidemia dovrebbero approntare un piano nazionale di preparazione e risposta. Occorre anche che le strutture siano ben attrezzate e gestite da personale medico e di supporto competente: “in alcune strutture mancano elettricità e acqua corrente”, ha detto Chan.
Il virus ha un periodo di incubazione che va da due a ventuno giorni. I primi sintomi sono un forte mal di testa, febbre e dolori al petto. L’ebola colpisce anche il cervello, causando spesso agitazione, confusione e depressione (e nei casi più gravi il coma), e agisce anche sul sistema circolatorio, causando numerosi coaguli di sangue che possono arrivare al cervello o bloccare la circolazione in altri organi, soprattutto fegato e reni. Questo processo “consuma” i coagulanti presenti nel sangue, causando in molti casi forti emorragie interne ed esterne (alcuni pazienti arrivano a sanguinare da ogni membrana del corpo, anche se più spesso le emorragie sono limitate all’intestino). La morte in genere è causata dai coaguli di sangue o dalla necrosi dei tessuti attaccati dal virus.
L’epidemia più grave di ebola, prima dell’inizio di tutta questa storia, era quella cominciata in Zaire nel 1976 (l’odierna Repubblica Democratica del Congo). All’epoca, nell’ospedale di Yambuku, gestito da alcune suore, scoppiò un’epidemia di ebola aggravata dal fatto che il personale medico utilizzava le stesse siringhe su diversi pazienti. Alla fine morirono 280 persone.
Foto: operatori di Medici Senza Frontiere a Conakry, in Guinea. (CELLOU BINANI/AFP/Getty Images)