L’inventore dell’high five
Sembra assurdo ma fino a una trentina di anni fa nessuno si dava il cinque: c'entrano il baseball americano e il primo sportivo professionista a fare coming out
Il 2 ottobre del 1977 al Dodger Stadium di Los Angeles, negli Stati Uniti, la squadra di baseball dei Los Angeles Dodgers giocava l’ultima partita della stagione contro gli Houston Astros. I Dodgers erano fuori dai playoff ma ci tenevano molto lo stesso, a quella partita, dato che avrebbero potuto battere un record: essere la prima squadra nella storia della Major League Baseball (MLB) ad avere quattro battitori con almeno 30 fuoricampo ciascuno.
A un certo punto mancava soltanto Dusty Baker (gli altri tre erano Ron Cey, Steve Garvey e Reggie Smith): Baker ribatté un lancio di J.R. Richard degli Astros, realizzò il suo trentesimo fuoricampo e tutto lo stadio esultò come se i Dodgers avessero appena raggiunto i playoff.
Baker corse verso la panchina e il primo a congratularsi con lui fu un suo compagno di squadra, un grosso esterno di ruolo soprannominato King Kong per via della sua forza e della sua corporatura: si chiamava Glenn Burke e accolse Baker sollevando il braccio destro in alto con la mano aperta. Non sapendo come rispondere, Baker pensò prima di afferrare la mano di Burke e poi la colpì con la sua mano destra, tenendo anche lui il braccio sollevato. «Mi sembrò la cosa più appropriata da fare».
Questo momento viene oggi largamente e più o meno unanimemente ritenuto l’invenzione dell’high five, uno dei gesti più comuni e diffusi al mondo, in Italia anche noto come “cinque alto” e talvolta accompagnato dall’espressione verbale “dammi il cinque” o “batti cinque”. Tante testate sportive e giornali americani – a partire da alcune ricerche fatte da ESPN – si sono occupati, con articoli e documentari, di questa storia e delle diverse versioni che circolano riguardo l’origine sportiva dell’high five. Anche il magazine online Grantland ha dedicato alla storia di Burke uno dei suoi documentari brevi della serie 30 for 30.
Chi era Glenn Burke
Glenn Burke è stato un modesto giocatore di baseball statunitense. Era nato a Oakland, in California, nel 1952: giocò nella MLB dal 1976 al 1979, con i Los Angeles Dodgers e poi con gli Oakland Athletics. Era un giovane esordiente di ventiquattro anni quando si trovava nella panchina dei Dodgers, durante quell’ultima partita della stagione del 1977. Pur non giocando spesso era amatissimo dai suoi compagni: in molti raccontano che se ne andasse in giro per lo spogliatoio infilandosi asciugamani sotto la maglietta per imitare meglio l’allenatore, Tommy Lasorda, e che il gesto dell’high five fosse un suo saluto abituale. Insomma era “l’anima dello spogliatoio”, al punto che quando lasciò i Dodgers nel 1978 diversi giornali sportivi locali riferirono di alcuni giocatori commossi.
L’altra cosa per cui Burke diventò famoso, oltre al gesto dell’high five, è che era gay. Già ai tempi dei Dodgers era abbastanza noto tra i compagni e gli amici, e circolava voce che avesse una relazione con il figlio dell’allenatore, Spunky Lasorda, un ragazzo noto nell’ambiente gay di Hollywood con cui Burke era se non altro molto amico. Burke si ritirò all’inizio del 1980 e cominciò a frequentare abitualmente il distretto Castro di San Francisco, centro storico della comunità gay statunitense (quello di Harvey Milk), dove il suo high five aveva avuto una rapidissima popolarità e circolazione fin dal 1977.
Dal 1980 i Dodgers cominciarono a vendere magliette con la scritta “High Five” e il logo di due mani aperte che si univano, e in un poster promozionale spiegarono: «Il saluto ‘High Five’ è diventato il saluto standard dei Dodgers per la stagione 1980. Viene scambiato regolarmente tra i giocatori dopo un fuoricampo, una buona azione difensiva o una vittoria dei Dodgers».
Pur avendo già in precedenza riconosciuto che i suoi compagni ne erano a conoscenza, Burke dichiarò apertamente la propria omosessualità soltanto nel 1982, in un’intervista al magazine sportivo Inside Sports. Nel 1993 risultò positivo a un test dell’HIV e il 30 maggio 1995 morì per le conseguenze della contrazione del virus. Un anno prima aveva detto in un’intervista al New York Times: «Il pregiudizio mi ha spinto fuori dal baseball prima di quanto sarebbe dovuto accadere, ma non mi ha cambiato». Alcuni oggi sostengono che se non è passato alla storia, oltre che come inventore dell’high five, anche come il primo sportivo americano apertamente gay, in una lega professionistica americana, non è perché la sua omosessualità non fosse nota – certamente lo era, a compagni e amici, quando giocava – ma perché la stampa non era pronta ad accogliere questa notizia.
Fino alla sua morte, e anche dopo, negli Stati Uniti Burke continuò a essere largamente ritenuto l’inventore dell’high five; un gesto che intanto, fin dall’inizio degli anni Ottanta, era diventato abituale anche in altri sport, e che grazie alle sempre più frequenti e numerose trasmissioni televisive delle partite iniziò a circolare rapidamente anche nel resto del mondo.
Tuttavia, prevalentemente dopo la morte di Burke, cominciarono a circolare anche altre versioni della storia sull’origine sportiva di questo gesto, talmente comune che oggi viene persino difficile immaginare un tempo in cui non esisteva.
La versione di Derek Smith
Un articolo del New York Times del primo settembre 1980, proprio riguardo questa “moda” del cinque, citava invece come inventore del gesto un certo Derek Smith, allora giocatore di basket della National Collegiate Athletic Association (NCAA). Il fatto curioso è che Tommy Lasorda, l’allenatore dei Dodgers ai tempi di Burke, veniva citato nell’articolo tra i membri che si erano da poco aggiunti alla crescente lista degli “high-fivers”, senza che Burke fosse mai menzionato nel pezzo (Lasorda disse che non sapeva da dove fosse partita la moda).
Nel 1978 Derek Smith giocava nei Louisville Cardinals, la squadra di basket universitaria di Louisville, nel Kentucky. Si racconta che nel corso della stagione 1978-79, quindi almeno un anno dopo la storia di Burke, Smith fosse solito darsi un cinque con i suoi compagni durante gli allenamenti, e che tutto sia iniziato un giorno in cui il suo compagno di squadra Wiley Brown andò da lui in allenamento per dargli un “cinque basso” (un low five, un gesto comune e già diffuso nella cultura afro-americana fin dalla seconda guerra mondiale, come minimo, scrive ESPN). A quel punto, guardandolo negli occhi, Smith avrebbe detto a Brown: «Non così. Alto!», e quindi Brown gli avrebbe risposto con un “high five”. «Pensai: giusto, perché lo facciamo basso? Saltiamo così in alto», raccontò poi Brown.
Esiste almeno un filmato risalente a quella stagione che mostra i giocatori dei Louisville Cardinals scambiarsi degli high five, o una specie di high-five, durante una partita, e fu anche trasmesso in televisione. A un certo punto, dopo una buona azione di Brown, lo speaker dice: «Brown ha cominciato a giocare! E i suoi compagni gli stanno dando la stretta di mano “high five”», e questo attesterebbe che la pratica avesse quanto meno già una sua relativa notorietà. Peraltro si tratta anche della prima volta in cui il gesto fu compiuto durante una partita trasmessa in televisione, dato che la partita di baseball dei Dodgers del 1977 non ebbe copertura televisiva, e di quel gesto di Burke oggi circola soltanto una fotografia.
Questa seconda versione della storia dell’high five è stata ricostruita da ESPN nel 2011 a partire dal racconto di Brown, e non di Derek Smith, che intanto era morto nel 1996 per una malattia cardiaca. Non è quindi possibile stabilire da dove Smith abbia tratto l’idea dell’high five e se all’epoca fosse a conoscenza della popolarità che intanto quel gesto stava progressivamente acquisendo in California.
La versione bufala di Lamont Sleets
A partire dal 2002 cominciò a circolare negli Stati Uniti anche una terza versione, piuttosto singolare, sulle origini dell’high five, la cui invenzione cominciò a essere attribuita a un certo Lamont Sleets, un ex giocatore di basket della Murray State University, nel Kentucky, attivo tra il 1979 e il 1984. Secondo questa terza versione, il padre di Sleets fu arruolato nell’esercito durante la guerra in Vietnam, nella quinta divisione del primo battaglione di fanteria, soprannominato “La Cinque” (The Five). Sleets apprese il gesto dell’high five da bambino, vedendo suo padre scambiarselo con i suoi compagni del battaglione, quando andavano a trovarlo a casa: col braccio alzato e la mano aperta, urlavano “Cinque!” e si davano un cinque. Quando le vedeva arrivare, il piccolo Sleets li salutava tutti uno per uno urlando “Ciao, Cinque!” (Hi, Five!), perché non ricordava i loro nomi singolarmente, e cercava di raggiungere la loro mano con un salto, imitando il loro saluto ufficiale.
In seguito, il giornalista di ESPN che ha ricostruito la storia dell’high five – non riuscendo a mettersi in contatto con lo stesso Sleets – scoprì che si trattava di una storiella totalmente inventata messa in circolazione dai due autori Conor Lastowka e Greg Harrell-Edge, organizzatori della giornata nazionale dell’High Five (sì, ce n’è una, negli Stati Uniti, e si tiene ogni anno il terzo giovedì di aprile).