Il grande errore di Kerry su Gaza
Invece di concentrarsi su una soluzione a lungo termine, il Segretario di Stato americano ha cercato una tregua immediata: in questo modo ha rinforzato la posizione di Hamas
di David Ignatius – Washington Post
Il Segretario di Stato americano John Kerry ha compiuto un errore piuttosto grave nel modo in cui ha cercato di ottenere un cessate il fuoco a Gaza, e non è molto sorprendente che alla fine sia riuscito a infastidire sia gli israeliani che i palestinesi più moderati.
L’errore di Kerry è stato mettere troppa enfasi nel cercare una rapida conclusione agli scontri. Così facendo ha reso più solida la posizione di Hamas, l’intrattabile e impopolare organizzazione musulmana che governa Gaza con il sostegno di altri due paese rigidamente islamisti: Turchia e Qatar. Durante queste trattative Kerry ha tagliato fuori non solo Israele, ma anche l’Egitto e Fatah, i quali vogliono tutti vedere la fine del governo di Hamas sulla Striscia di Gaza.
Una soluzione più saggia, che Kerry ha rifiutato nel tentativo di arrivare a una veloce soluzione diplomatica, sarebbe stata negoziare il cessate il fuoco con la mediazione dell’Autorità Nazionale Palestinese (ANP), in vista anche di un suo possibile futuro governo a Gaza. Lo scorso aprile Hamas ha accettato di riportare a Gaza l’ANP, come parte di un più ampio accordo di unità nazionale mediato dal presidente palestinese Mahmoud Abbas.
Nel suo lavoro, Kerry è stato motivato da due comprensibili esigenze a breve termine. Primo: vuole mettere fine al tremendo massacro di Gaza e alla morte di tanti civili palestinesi, inclusi donne e bambini. Secondo: sta cercando di accontentare le richieste di Obama, che vorrebbe una soluzione veloce ed è diventato scettico sulle reali possibilità di risolvere definitivamente il conflitto israelo-palestinese.
L’approccio di Kerry ha provocato una tempesta in Israele: diversi commentatori di destra e di sinistra lo hanno accusato di aver preso le parti di Hamas e di aver tradito Israele. Queste critiche sono ingiuste e hanno spinto Barack Obama a lamentarsi con il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu, durante una telefonata tra i due domenica scorsa.
L’errore di Kerry non è stato un pregiudizio negativo su Israele, quanto più un pregiudizio positivo sulla possibilità di poter trovare un accordo a breve termine.
Alcune cose a favore di questo approccio diplomatico “alla giornata” si possono dire, per la verità, come ho fatto io stesso qualche giorno fa a proposito della strategia di Kerry sulla questione del nucleare iraniano e sulle contestate elezioni presidenziali in Afghanistan. Ma a Gaza sono decenni che si cerca di risolvere la cosa con espedienti, momento per momento. Qualsiasi accordo che rinforzi la posizione di Hamas – piuttosto che costruire un percorso per un rinnovamento al governo, delle elezioni e il disarmo – è sbagliato in partenza. Nel tentativo di fermare lo spargimento di sangue oggi, non fa altro che renderlo certo anche nel futuro. Questo è il motivo per cui una grande maggioranza dei cittadini di Gaza ha mostrato sostegno per un ritorno dell’ANP nella regione: perché vogliono porre fine a questo ciclo di guerre periodiche.
Israele ha minato la sua stessa causa con una serie di dichiarazioni che sono apparse insensibili alle perdite di vite tra i civili palestinesi. Un esempio è la dichiarazione dell’ambasciatore israeliano negli Stati Uniti, Ron Dermer, che – in un momento in cui fotografie e video mostrano prove delle morti tra i civili che vivono nelle zone densamente abitate di Gaza – ha detto che “l’esercito israeliano dovrebbe ricevere il Nobel per la pace” per aver mostrato “un controllo inimmaginabile”.
Il piano iniziale di Kerry era sostenere la richiesta dell’Egitto ad Hamas di accettare un cessate il fuoco. Quando Hamas si è rifiutata di arrendersi, ed era ormai chiaro che all’Egitto mancasse l’autorevolezza per cercare un accordo duraturo, Kerry si è rivolto a Turchia e Qatar, che in quanto sostenitori anche finanziari di Hamas hanno più forza contrattuale nei suoi confronti. Questa mossa ha messo al primo posto la volontà di trovare un accordo di qualsiasi tipo e al secondo posto la ricerca di una soluzione a lungo termine per Gaza. L’accordo in ogni caso è saltato.
Rivolgendosi a Turchia e Qatar, poi, Kerry ha anche rinforzato la loro posizione di forza e influenza nell’area; questo va contro gli interessi di molti alleati degli Stati Uniti come l’Egitto, la Giordania, l’Arabia Saudita e le fazioni palestinesi più moderate, come quella guidata da Abbas.
Ma se Kerry è stato miope nel non cercare una soluzione più stabile per Gaza, lo stesso è stato il governo di Netanyahu. Il primo ministro israeliano ha denunciato l’accordo tra Fatah e Hamas dello scorso aprile, anche se questo avrebbe potuto aprire la strada a un governo senza Hamas. E, cosa più importante, Netanyahu ha sempre fallito nel concedere ai palestinesi moderati quelle concessioni che avrebbero potuto aumentare la loro influenza sulla Cisgiordania e su Gaza. Quando i palestinesi hanno sentito Netanyahu dire che Israele manterrà un controllo militare sulla Cisgiordania per decenni, in molti si sono chiesti quale fosse la ragione per cercare di negoziare per la soluzione dei due stati.
Ma Netanyahu vuole davvero una lunga operazione militare a Gaza che potrebbe far salire anche il numero dei morti israeliani oltre il migliaio e che significherebbe di fatto una nuova occupazione militare della Striscia? Se la risposta è no, farebbe meglio a trovare un modo per rafforzare la posizione dei moderati palestinesi che, con l’aiuto della comunità internazionale, possono riuscire a costruire una nuova Gaza.
Che Kerry ottenga o no un permanente cessate il fuoco, il problema di fondo rimarrà lo stesso per il futuro di Gaza: come riuscire a fare dell’ANP una forza responsabile che possa riuscire a governare Gaza? Israele teme che la soluzione possa funzionare sul modello libanese, con Hamas che rimarrebbe in controllo dell’ala militare, similmente a quello che fa Hezbollah a Beirut.
Questa è la questione a lungo termine intorno a cui bisognerebbe trattare ed è dove Kerry dovrebbe investire il capitale diplomatico degli Stati Uniti, piuttosto che nella ricerca di un altro accordo temporaneo.
©2014 – The Washington Post