L’aereo di linea abbattuto dagli Stati Uniti
Prima dell'incidente in Ucraina della settimana scorsa, ci fu quello del volo 655 di Iran Air colpito per sbaglio dalla marina statunitense nel 1988
di Fred Kaplan – Slate @fmkaplan
Ci sono ancora rabbia e frustrazione per la fine del volo MH17 della Malaysia Airlines, precipitato giovedì 17 luglio nei pressi di Grabovo, in Ucraina orientale. E giustamente. Ma prima di accusare Vladimir Putin di aver compiuto crimini di guerra o definire la vicenda un tragico equivoco, vale la pena considerarla alla luce di un altro sfortunato volo di linea: il 655 della Iran Air, abbattuto il 3 luglio 1988 non da qualche scalcinato gruppo di ribelli su un territorio contestato da più parti, ma da un capitano della marina statunitense al comando di un incrociatore con sistema Aegis chiamato “Vincennes”.
Un quarto di secolo dopo, ciò che fu causato dal Vincennes è stato quasi completamente dimenticato, ma è rimasto il settimo incidente aereo più mortale della storia (quello del volo MH17 è il sesto), e una delle disgrazie meno giustificabili fra quelle causate dalla difesa degli Stati Uniti.
Per molti versi, i due incidenti si assomigliano. Il Boeing malese 777 ha sorvolato una complicata zona di guerra come l’Ucraina orientale, vicino al confine russo; l’Airbus A300 iraniano si trovò in mezzo a una scaramuccia navale – uno dei molti scontri nella cosiddetta (e dimenticata) “Tanker War”, nello Stretto di Hormuz. Il ribelle ucraino probabilmente colpevole del fatto avrà pensato di stare mirando a un aereo addetto al trasporto militare; il capitano statunitense, Will Rogers III, confuse l’Airbus iraniano per un caccia F-14. Il missile terra-aria russo SA-11 che ha abbattuto l’MH17 ha ucciso 298 passeggeri, inclusi 80 bambini; il missile terra-aria americano SM-2 che abbatté l’aereo iraniano ne uccise 290, inclusi 66 bambini. Dopo l’incidente della scorsa settimana, le autorità russe hanno mentito per coprire la loro parte di responsabilità e hanno invece accusato il governo ucraino; dopo l’incidente del 1988, le autorità statunitensi mentirono e incolparono il pilota iraniano. Il governo statunitense risarcì i parenti dei passeggeri morti solo otto anni dopo l’incidente, e anche in quell’occasione non si scusò ma espresse solo «profondo rimorso».
Da corrispondente dell’esercito per il Boston Globe, ai tempi, mi occupai dell’abbattimento dell’aereo da parte del Vincennes: sono tornato indietro a rivedere i miei pezzi, che raccontarono le bugie ufficiali e le inesattezze man mano che emergevano. Ecco la parte della storia che più mi sconcerta.
Il 19 agosto 1988, a quasi sette settimane dall’incidente, il Pentagono pubblicò un report di 53 pagine sulla vicenda. Sebbene il testo non lo affermasse direttamente, rilevava che quasi tutti i dettagli che erano emersi poco dopo l’incidente – i “fatti” che gli ufficiali avevano raccontato per dare la colpa al pilota di Iran Air – erano falsi. Eppure, il report concluse che il capitano e tutti gli altri ufficiali della Vincennes avevano agito correttamente.
Per esempio, il 3 luglio, durante la prima conferenza stampa tenuta dal Pentagono in seguito all’incidente, l’ammiraglio William Crowe, capo dello Stato maggiore congiunto – un’assemblea dei capi di ciascuna delle forze armate statunitensi – disse che l’aereo iraniano stava volando a circa 2700 metri e che stava scendendo “a un’alta velocità” di circa 450 nodi (cioè circa 830 chilometri all’ora) “direttamente” verso la nave. Il report di agosto – scritto dal retroammiraglio William Fogarty del Commando Centrale statunitense, un organo del dipartimento della Difesa del governo – concluse (da registrazioni trovate dentro la nave) che l’aereo stava “salendo a circa 3600 metri di quota a circa 380 nodi (circa 700 chilometri all’ora)”. “In nessun momento” l’aereo “diminuì la propria altitudine”, disse il rapporto.
Quando feci notare la discrepanza fra le due versioni alla conferenza stampa durante la quale fu presentato il rapporto, il segretario della difesa Frank Carlucci mi congedò spiegando “è davvero opinabile se una differente lettura della situazione abbia influenzato il giudizio a riguardo” (ancora oggi trovo la risposta assurda).
C’erano altre differee inquietanti fra la conferenza stampa del 3 luglio (che mi rese sospettoso già allora) e il report del 19 agosto. Crowe, il 3 luglio, aveva detto che l’aereo stava volando “al di fuori della prevista rotta commerciale”; il report spiegava invece che l’aereo “volava all’interno della rotta commerciale stabilita”. Crowe aveva detto che il dispositivo radar dell’aereo stava trasmettendo un codice sopra un canale militare in “modalità 2”; il report diceva che lo stava facendo in “modalità 3” su un canale civile. Crowe aveva detto che il Vincennes aveva lanciato diversi avvertimenti; il report confermò questo fatto, ma spiegò che “a causa del pesante carico di lavoro del pilota durante il decollo e la cabrata, e la necessità di comunicare con” due centri di controllo del traffico aereo, il pilota “probabilmente non stava monitorando” il canale internazionale per le emergenze aeree.
L’ammiraglio George B. Crist, capo del Commando Centrale, produsse una “lettera di censura non punitiva” nei confronti dell’ufficiale che si occupava delle operazioni anti-aeree, ma il segretario alla Difesa Carlucci la ritirò. Due anni dopo, il capitano Rogers fu premiato con la Legione al Merito “per la condotta eccezionalmente meritoria provata nell’eccezionale servizio” reso come capitano del Vincennes “dall’aprile del 1987 al maggio del 1989”.
Ancora una cosa, che ho scoperto da poco: nel 1992, quattro anni dopo l’incidente (e poco dopo che mi trasferii in un altro giornale), l’ammiraglio Crowe ammise nel programma di ABC Nightline che la nave si trovava in acque iraniane al momento dell’abbattimento dell’aereo. Nel 1988, lui e altri avevano detto che la nave si trovava in acque internazionali. Venne fuori, inoltre, che altri ufficiali della Marina avevano descritto Rogers come “aggressivo” e avevano trovato strano che avesse spostato l’incrociatore per inseguire alcune navi di pattuglia iraniane – una provocazione oppure, nel miglior dei casi, un’azione eccessiva. Una disattenzione provocata dall’inseguimento, probabilmente combinata con il fatto che il sistema missilistico radar Aegis era nuovo, può aver portato al fatale errore di giudizio.
Poco dopo l’abbattimento, l’Iran chiese al consiglio di sicurezza dell’ONU di riprendere gli Stati Uniti per il loro “atto criminale” nei confronti del volo 655. L’allora vicepresidente George H. W. Bush, occupato nella campagna elettorale per sostituire Ronald Reagan alla presidenza, disse nel suo tour elettorale: “Io non offrirò mai delle scuse da parte degli Stati Uniti, non importa quali siano i fatti”.
Finalmente, nel 1996, l’amministrazione Clinton espresse “profondo rimorso” e pagò 131 milioni di dollari al governo iraniano come risarcimento, di cui 61,8 sarebbero andati alle famiglie dei morti. In cambio, Teheran accettò di far cadere le accuse contro gli Stati Uniti presso la Corte Internazionale di giustizia.
Molti iraniani, nel corso degli anni, hanno continuato a credere che l’attacco fu deliberato. Ritennero difficile da credere che la marina degli Stati Uniti, con tutta la sua splendida efficienza, potesse aver commesso questa orribile strage per errore. Ed erano pronti a credere che l’America – il “grande Satana”, dopotutto – fosse capace di tali malvagità.
Nulla di ciò, però, ha lo scopo di scagionare Putin dall’aver incoraggiato i separatisti nell’Ucraina orientale, fornendogli attrezzature belliche avanzate e insegnando loro ad usarle. Non voglio nemmeno fare dei paragoni insensati fra il comportamento della Russia in Ucraina, oggi, e quello degli Stati Uniti nel Golfo Persico, venticinque anni fa. Detto questo, la vicenda del Vincennes è più di un orrendo pezzetto della storia finito dimenticato. Fra oggi e allora ci sono somiglianze, e lezioni che devono essere imparate.
Per prima cosa, fatti del genere avvengono quando la zona di guerra si sovrappone a quella della vita di tutti i giorni. Meglio evitare che vengano a contatto oppure, nel caso questo sia inevitabile, occorre esercitare uno stretto controllo, affinché la situazione non sfugga di mano troppo facilmente.
Ancora più importante, è meglio confessare i propri orribili errori. Gli Stati Uniti ne sarebbero venuti fuori meglio, in un momento cruciale nelle guerre in Medio Oriente, se Reagan o Bush avessero ammesso quello che era già chiaro a diversi importanti ufficiali, confessato la propria responsabilità e risarcito le famiglie dei morti. La Russia ne sarebbe uscita meglio se Putin l’avesse fatto. Ok, l’immagine non è tutto: ci sono ancora questioni politiche da risolvere. Ma proseguire nel raccontare cose palesemente false crea o rafforza un’impressione di mendacia o malvagità.
Putin o chiunque abbia lanciato quel missile dovrebbe essere ritenuto responsabile, proprio come avrebbero dovuto esserlo Reagan e l’equipaggio del Vincennes, anche nel caso non lo fossero stati: considerarli responsabili e assegnargli una punizione adeguata non equivale a considerarli dei terroristi o criminali di guerra. Per prima cosa, bisogna distinguere fra tragici errori e mostruosi atti di terrorismo. Secondo, l’interesse in Ucraina dell’occidente è – o dovrebbe essere – quello di aiutare a costruire uno stato pacifico e prospero. L’eccitazione separatista – aizzata da Putin – ha peggiorato il clima, facendo confusione fra le zone di guerra e quelle della vita di tutti i giorni, rendendo possibile una tragedia come quella del volo MH17. Questo può essere un buon momento per cambiare il contesto: ma la cosa richiede realismo da entrambe le parti, non esagerata indulgenza o dimenticanza della storia.
©Slate 2014