La pulizia sul fondale della Concordia
Decine di sommozzatori lavoreranno nei prossimi mesi per rimuovere tutto quello che la nave si lascerà dietro al Giglio, racconta Jenner Meletti su Repubblica
Stanno per concludersi le operazioni per riportare a galla la Costa Concordia, la nave da crociera che nel gennaio del 2012 fece naufragio a poca distanza dalle coste dell’Isola del Giglio causando la morte di 32 persone. Entro questo fine settimana la nave dovrà essere sollevata di quattordici metri rispetto a quando era adagiata sul fondale, condizione necessaria perché possa essere trasportata nel porto di Genova, nel quale verrà smantellata. Finora la nave è stata sollevata di circa quattro metri: nella mattinata di sabato 19 dovrà quindi essere sollevata di altri dieci metri.
La Costa Concordia da tempo galleggia grazie a una serie di trenta cassoni che nei mesi scorsi sono stati applicati lungo i suoi fianchi: i cassoni, alti fino a 33 metri, prima di queste operazioni erano pieni di acqua, che faceva da zavorra per mantenere ferma e stabile la nave sul fondale. Vuotando i cassoni attraverso il pompaggio di aria compressa, la struttura è diventata più leggera e ha permesso alla nave di iniziare a galleggiare. Spiega il Tirreno che «Costa Crociere continua a ripetere che – condizioni meteo permettendo – la partenza del relitto per lunedì “resta un obiettivo”». La Costa Concordia sarà trainata da due navi e seguita da un convoglio di altri otto mezzi navali. Dopo che la nave verrà trasportata fuori dal Giglio, però, i complicati lavori per sistemare il fondale dell’isola proseguiranno per circa un anno e mezzo, come racconta Jennifer Meletti su Repubblica.
Per recuperare alcuni pezzi della nave caduti a più di centro metri sotto al livello del mare, ha spiegato a Repubblica Silvio Bartolotti (presidente della Micoperi, la società che ha organizzato i lavori per far tornare a galla la nave) «i sommozzatori dovranno restare in una stanza di acciaio con le stesse atmosfere che troveranno sul fondale. La stanza è in realtà un tubo, 8 metri di lunghezza e 2,20 di diametro, dove questi lavoratori restano in media 28 giorni. Dagli 8 ai 12 posti, dove si mangia, si dorme, si legge e si va al bagno e non c’è altro da fare. A turno si va al lavoro per 8 ore, trasportati da una campana che ha le stesse atmosfere del tubo e del fondale. E queste sono le sole ore di “libertà”, perché il sommozzatore almeno si muove e si sente utile». Spiega Meletti che tutti questi lavori saranno necessari per riportare il fondale alle condizioni esistenti prima dell’incidente della nave, come ordinato dal ministero dell’Ambiente.
Si lavorerà ancora per un anno e mezzo, nella fabbrica sotto il mare. «Dovremo liberare i fondali, ripulire tutto. Ci sono piattaforme di ferro da 1.000 tonnellate, ci sono 1.400 sacchi contenenti 13 mila metri cubi di malta cementizia». Yurij Bean, nato a Grado 38 anni fa e capo dei 190 sommozzatori impegnati al Giglio, sa che il lavoro non sarà finito anche quando — forse martedì — il relitto della Concordia verrà trascinato nel porto di Genova. La fabbrica sommersa, senza fumi di ciminiere e senza rumori, sarà come una miniera, con almeno 50 metri d’acqua al posto delle rocce. «Non sappiamo ancora — dice Silvio Bartolotti, amministratore delegato della Micoperi, che con la Titan ha raddrizzato la nave e ora sta preparando il galleggiamento — chi vincerà la gara per questa pulizia del mare. Noi siamo pronti. Certo, sarà impegnativo. Sa cosa vuol dire lavorare sott’acqua?».
Un cesto di frutta, sul tavolo dello yacht. «Abbiamo affittato la barca perché non c’è posto in albergo. Sì, il nostro cantiere è una fabbrica, ma con regole molto più precise perché i pericoli sono alti. L’acqua è un elemento innaturale per l’uomo. Si fa fatica a nuotare, immagini saldare, tagliare, costruire… Qui sono impegnati sommozzatori, saldatori, carpentieri, metalmeccanici, addetti alla logistica. Prendiamo il mestiere più duro, quello dei sommozzatori. Intanto, quando sono al lavoro, non si può svolgere nessun’altra attività, né dentro né fuori dall’acqua. Ogni loro movimento deve essere progettato e programmato al dettaglio. Per intenderci: non basta organizzare bene le cose e poi dire “speriamo bene”. No, l’uomo con il respiratore deve essere messo nella condizione di non poter assolutamente sbagliare ».
«Ognuno di noi — racconta Yurij Bean — è seguito almeno da un altro sommozzatore, che osserva dalla superficie (con un monitor collegato a una telecamera sul casco di chi è sotto e alle telecamere di piccoli robot) ogni mossa del collega, che è collegato con una catena. Se ci sono problemi, è pronto a soccorrerlo immediatamente». Al Giglio si è lavorato a profondità comprese fra i 50 ed i 70 metri ma detriti e rottami sono caduti anche a 100 metri e anche più a fondo (oltre lo “scalino” sul quale si è appoggiata la Concordia) e dovranno essere recuperati.