Il voto della proposta di legge sul cognome dei figli è stato rinviato
Alcuni deputati non avevano nemmeno letto il testo, altri si sono scoperti contrari perché temono una situazione di «anarchia»
Mercoledì 16 luglio la Camera ha deciso di rinviare a data da definirsi il voto della proposta di legge sul cognome da dare ai propri figli. La decisione è stata piuttosto inaspettata, dato che si era prevista una rapida approvazione (già in settimana) dopo che la proposta era stata approvata all’unanimità dalla commissione Giustizia la settimana scorsa e dopo che sia la Corte Europea dei diritti umani che il Consiglio d’Europa si erano più volte pronunciati con sentenze e raccomandazioni contro l’attribuzione automatica del cognome del padre, con cancellazione altrettanto automatica della genealogia materna.
Il disegno di legge – qui una spiegazione più dettagliata – recepisce infatti quanto previsto da molte sentenze italiane e internazionali e prevede che i genitori possano scegliere se dare al nuovo nato il cognome del padre, della madre, o il doppio cognome (nel caso la coppia non trovasse un accordo, il neonato sarebbe registrato all’anagrafe con entrambi i cognomi in ordine alfabetico); la legge prevede anche che la figlia o il figlio, una volta maggiorenni, possano decidere di aggiungere il cognome dell’altro genitore con una semplice dichiarazione all’ufficiale di stato civile; e prevede che i figli dei figli, non essendo pensabile il quadruplo cognome, ricevano dal padre e dalla madre uno solo dei loro rispettivi doppi cognomi.
Durante la discussione in Aula ci sono stati però dei problemi: c’è chi ha «confessato di non aver seguito con attenzione questo provvedimento», come Rocco Buttiglione e Paolo Grimoldi della Lega, tra gli altri, che «dopo essersi formati un’opinione ascoltando la discussione» stessa non si sono trovati d’accordo; e c’è chi si è diviso su un emendamento in particolare, quello presentato da Marisa Nicchi di SEL e che riguarda l’articolo 4 del ddl (quello che si occupa non dell’attribuzione del cognome da parte dei genitori ai neonati ma del cambio di cognome da parte dei figli stessi una volta diventati maggiorenni). Si sono dichiarati contrari alla legge, per diversi motivi, Fratelli d’Italia, Popolari per l’Italia, molti deputati di Forza Italia e Nuovo Centro Destra. La maggior parte delle critiche erano legate alle difficoltà burocratiche che si verrebbero a creare con l’approvazione della legge (qualcuno ha parlato di «anarchia»), ma c’è chi ha sostenuto che l’ordine alfabetico «avrebbe annullato simbolicamente l’appartenenza del bambino all’ordine della parentela» (Buttiglione) e chi era contrario al fatto che i figli con doppio cognome, diventati adulti e a loro volta genitori, avrebbero dovuto scegliere quale dei loro due cognomi trasmettere (Prestigiacomo).
In generale, leggendo il resoconto stenografico della seduta, si ha comunque l’impressione di una diffusa impreparazione sul progetto di legge. Motivo per il quale Ignazio La Russa, a un certo punto, ne ha chiesto il rinvio alla Commissione:
«Ci stiamo rendendo contro che da questa legge deriva il modo di impostare negli anni, nei decenni e se non cambiasse nei secoli – perché nei secoli precedenti non è mai cambiato – il modo di tramandare con l’istituto familiare oltre al nome anche l’appartenenza? Propongo di mettere ai voti il ritorno in Commissione del provvedimento per consentire un esame più approfondito, per proporre quegli emendamenti che colpevolmente tutti abbiamo omesso di proporre, Non c’è fretta, sono secoli che il meccanismo con cui si tramanda il cognome in una famiglia è uguale. Se ritardiamo qualche settimana e la prossima volta non avremo come sta avvenendo in questo momento colleghi che chiedono al vicino di banco “ma come funziona” perché nessuno ancora lo ha capito bene. Se questo succederà sarà un vantaggio per tutti e non avremo sulla coscienza di aver fatto una norma che non è certo quella che oggi gli italiani considerano prioritaria»
A quel punto gli interventi si sono divisi tra chi chiedeva un rinvio alla Commissione e chi un rinvio al “Comitato dei Nove” che avrebbe potuto cercare di trovare un compromesso in tempi molto brevi (il “Comitato dei Nove” è composto dai relatori e dai rappresentanti dei gruppi nella Commissione: in Aula, durante l’esame del progetto di legge, i membri siedono ad un tavolo semicircolare davanti ai banchi dei deputati e possono intervenire per risolvere questioni minori durante la discussione stessa).
Il primo è stato respinto e si è deciso per il secondo: dopo una sospensione della seduta e una riunione del Comitato. Il Comitato stesso «sostanzialmente all’unanimità» ha chiesto un aggiornamento della seduta che, ha dichiarato la presidente della Camera Laura Boldrini, sarà caldendarizzata prima della pausa estiva. Ma c’è chi ne dubita, come Michela Marzano, deputata del PD e relatrice della proposta di legge: «Non credo che riusciremo a calendarizzare nuovamente la discussione sul doppio cognome prima dell’estate. Abbiamo molti decreti da convertire, non c’è spazio». Subito dopo il rinvio Marzano ha accusato il Partito Democratico, di “non aver tenuto”, avendo ceduto alle pressioni dei rappresentanti di centrodestra contrari alla proposta. Il capogruppo in commissione Giustizia Walter Verini (Pd) avrebbe insomma preso la decisione finale.
Si sarebbe dovuta approvare legge sui cognomi. Salta tutto dopo obiezioni La Russa, Pagano, Buttiglione… il PD non tiene; mi sento tradita
— Michela Marzano (@MichelaMarzano) 16 Luglio 2014
Marzano ha anche cercato di spiegare la resistenza alla proposta di legge sulla scelta del cognome: «Questa legge fa paura agli uomini perché sconfigge il patriarcato. Ho visto deputati del Partito democratico che non hanno nemmeno letto il testo dichiarare di essere d’accordo con i parlamentari dell’opposizione. Si chiama maschilismo, e mi chiedo cosa ci facciano nel Pd se sono contrari a questa legge». Ignazio La Russa ha inoltre proposto che quando si voterà la legge sul doppio cognome ci sia il voto segreto: cosa che in molti e molte giudicano un “trucco” per non far passare la legge stessa. C’è un precedente: quello della doppia preferenza di genere nella nuova legge elettorale.