La storia triste di Robert Enke
Avrebbe dovuto essere il portiere della Germania ai Mondiali 2010 ma si suicidò pochi mesi prima, buttandosi sotto un treno: al posto suo giocò il giovane Neuer
Uno dei giocatori più apprezzati dei Mondiali in Brasile è stato il portiere della Germania Manuel Neuer, considerato da molti il più forte del mondo nel suo ruolo e vincitore del “Golden Glove”, il premio assegnato dalla FIFA al miglior portiere dei Mondiali. Neuer ha esordito con la nazionale nel 2009 ed è stato il portiere titolare della Germania già ai Mondiali del 2010 in Sudafrica: all’epoca aveva 24 anni, era considerato un po’ inesperto per essere il portiere di una nazionale e infatti non doveva essere lui il titolare: il più quotato fino a qualche mese prima era Robert Enke, della squadra tedesca dell’Hannover 96. Enke giocava da diversi anni in buone squadre, come il Benfica e il Barcellona, e quando il portiere della Germania Jens Lehmann si ritirò nel 2008 tutti dicevano che avrebbe preso il suo posto. Il 10 novembre del 2009, però, Enke uscì di casa dicendo alla moglie che stava andando ad allenarsi: guidò per otto ore, fino ad arrivare a un passaggio a livello, poi si fermò, scese dalla macchina e si buttò sotto un treno regionale che viaggiava a 160 chilometri all’ora.
Dall’inizio
Robert Enke era nato nel 1977 a Jena, nella Germania Est. Tra il 1996 e il 2004 fu il portiere di diverse importanti squadre europee, ma capitò spesso in stagioni particolarmente deludenti per la squadra in cui giocava. Nel 1996, dopo le giovanili, era stato comprato dal Borussia Mönchengladbach, una squadra che gioca nella Bundesliga, il principale campionato tedesco. La squadra si piazzò per un paio d’anni a metà classifica e nel 1999 retrocesse: Enke venne ceduto al Benfica, una delle più forti squadre del campionato portoghese, che da cinque anni concludeva la stagione piazzandosi al secondo o al terzo posto. Nel 2001 però il Benfica arrivò sesto, il peggior risultato nella storia del club. Enke non giocò male e nel 2002 venne venduto al Barcellona: quell’anno era allenato da Louis van Gaal, l’attuale allenatore dell’Olanda.
Enke era sempre stato una persona poco sicura di sé e l’esperienza al Barcellona fu traumatica. Già durante la trattativa per trasferirsi dal Benfica c’erano state alcune perplessità e ripensamenti da parte del Barcellona: Enke a un certo punto aveva chiamato van Gaal – uno noto per i modi piuttosto diretti e spicci – per chiedergli se lo volevano ancora, e questo gli aveva risposto: «Io non so nemmeno chi sei!». Enke ebbe molte difficoltà ad adattarsi al gioco di van Gaal, che prevedeva che i quattro difensori giocassero molto alti, distanti dal portiere.
L’11 settembre 2002 Enke giocò in una partita di Coppa del Re, la coppa nazionale spagnola, tra il Barcellona e il Novelda, una squadra che giocava nell’equivalente spagnolo del campionato italiano di Prima Divisione. Ronald Reng, uno scrittore che fu amico di Enke (con cui stava lavorando a una biografia, prima del suo suicidio) e che ha scritto un libro in cui racconta la sua storia, ha spiegato che quella era la classica partita in cui «se tutto fosse andato come previsto, il Barça avrebbe vinto 3 a 0 o 4 a 0 e nessuno avrebbe neanche menzionato il portiere. Se fosse andata male, si sarebbe preso tutte le colpe». Il Barcellona perse clamorosamente per 3-2 e fu eliminato dal torneo: Frank de Boer, un forte difensore che allora era capitano della squadra, al termine della partita fece una sfuriata in mezzo al campo contro Enke. Victor Valdés, storico portiere del Barcellona che emerse proprio quella stagione, ha detto che Enke quella sera fu «gettato in mezzo ai leoni». Giocò ancora un paio di partite poco importanti di Champions League, nella fase a gironi, e poi venne ceduto in prestito prima al Fenerbahce, poi al Tenerife, che giocava nella Serie B spagnola. Alla fine nel 2004 venne acquistato dall’Hannover, dove giocò cinque ottime stagioni, nonostante la squadra si piazzò sempre a metà classifica.
Enke soffriva di depressione clinica. Dopo la brutta esperienza con il Barcellona, Teresa Reim, sua moglie, lo convinse a vedere uno psicoterapeuta. Questo disse in seguito che Enke stava attraversando un periodo di «profonda malinconia, come quella che molte persone provano dopo un lutto, dopo essere stati licenziati o perseguitati da qualcuno». Nonostante la sua carriera sportiva si fosse nettamente ripresa durante il periodo in cui giocò all’Hannover, Enke continuava a soffrire di ansia da prestazione e aveva paura di perdere la fiducia del suo allenatore. Suo padre ha spiegato: Enke era convinto che se non era il migliore, allora automaticamente era il peggiore. Nel 2006 Lara Enke, la figlia di Enke e Reim, morì per una rara malattia respiratoria quando aveva due anni. La coppia adottò un paio di anni dopo un’altra bambina, di nome Laila: aveva 10 mesi quando Enke si suicidò.
Reng nel suo libro ha scritto:
«Oggi so perché tenesse così tanto alla sua biografia. Una volta conclusa la sua carriera di portiere sarebbe stato finalmente capace di parlare della sua malattia. Nella nostra società votata al raggiungimento di obiettivi e del successo, un portiere – l’ultimo baluardo della difesa – non può essere depresso. Perciò Robert raccolse un’enorme quantità di forza per nascondere la sua depressione. Si chiuse nella sua malattia. Così ora devo raccontare la sua storia senza di lui»
I tedeschi furono scioccati dalla morte di Enke, che secondo Reng per il calcio tedesco fu una specie di momento Kennedy: tutti i tedeschi si ricordano dov’erano quando seppero della notizia. La nazionale tedesca cancellò un’amichevole che aveva in programma contro il Cile; la bara fu esposta in una cerimonia allo stadio di Hannover, davanti a 40 mila persone e ai giocatori della nazionale. L’allenatore Joachim Löw commentò: «Sono totalmente scioccato, mi sento completamente vuoto».
Il 18 novembre, otto giorni dopo il suicidio di Enke, la Germania disputò un’amichevole contro la Costa d’Avorio. In porta giocò il giovane Manuel Neuer perché Rene Adler, il portiere che con Enke si contendeva il posto da titolare, aveva un’infezione a un occhio. Neuer indossò la maglia con il numero 12, mentre quella con il numero 1 – di Enke – venne posata su un posto vuoto nella panchina della Germania. Durante gli allenamenti in preparazione dei Mondiali del 2010 in Sudafrica, Adler si infortunò e Neuer fu scelto come primo portiere: aveva solo 24 anni ma giocò bene e la Germania arrivò terza. Da allora Neuer è il portiere titolare della nazionale tedesca, che quest’anno ha vinto la Coppa del Mondo.
La moglie di Enke si è trasferita da Hannover a Colonia: oggi lavora per una fondazione che porta il nome del marito e si occupa di sensibilizzare l’opinione pubblica al problema dei disturbi mentali nello sport, specialmente la depressione. Anche Reng ha detto che lo scopo del suo libro è questo: «Sarebbe troppo sperare che questa malattia venga capita meglio tutto d’un tratto, ma forse questo libro farà qualcosa per aiutare chi soffre di depressione a trovare più empatia e comprensione».